Comunicato Stampa

Comunicato Stampa

  • 11 Luglio 2005

eu-gionata

Dalla parte delle vittime

A distanza di trenta anni continuiamo a ricordare le vittime del terrorismo – tutte! – perché riteniamo sia un doveroso impegno di carattere morale. E ci auguriamo che dalle riflessioni si sviluppino ulteriori impegni di civiltà e di salvaguardia per lo stato democratico e i valori costituzionali sui quali si fonda.
Il nostro impegno è dunque rivolto a far sorgere riflessioni che diano maggiore evidenza alla riaffermazione dei valori di non violenza, di giustizia e di verità attraverso l’intervento diretto e la promozione di manifestazioni, occasioni di studio e pubblicazioni.
Abbiamo sempre cercato di respingere ogni forma di sola retorica. Ovvero, sia personalmente che in rappresentanza ufficiale, abbiamo cercato di operare senza sentimenti di vendetta, bensì richiamandoci alla saggezza e soprattutto al rispetto della memoria delle vittime, specie di quelle che, assassinate, non possono rispondere.
Ogni altra interpretazione è stata spesso mistificata attraverso la “incollatura” di frasi o l’aggiunta di commenti, o la strumentalizzazione di persone che alla nostra Associazione non appartengono, ma vengono usate, che lo vogliano o meno.
Spesso, nel tentativo di strumentalizzarci, ci hanno domandato se, eravamo ‘perdonisti’ o meno, come pure se volevamo conciliarci o meno (con chi ci ha sparato). Dobbiamo ricordare ancora una volta che il perdono è un fatto intimo, la misericordia è di Dio e la giustizia è prerogativa dello Stato attraverso l’applicazione certa, puntuale ed esatta delle leggi.
Noi ribadiamo che siamo rispettosi dello Stato di diritto e dunque dei principi derivanti dalla Carta costituzionale. Ugualmente auspichiamo che siano sempre rispettati i principi naturali delle difesa della vita umana e di conseguenza siano condannati i fatti e gli autori di atti che violano tali principi. Pertanto affermiamo con forza che non ci possono essere scorciatoie volte alla cancellazione del passato.

In questi ultimi tempi è in corso una ‘revisione’ degli Anni Settanta. Molti di quanti parteciparono in gioventù alla terribile stagione degli “anni di piombo”, non tanto come autori di efferatezze, ma in funzione di coro politico che si esprimeva in favore di politiche estremiste, oggi occupano posizioni di rilievo in ogni settore della società. Da questa posizione privilegiata sono tentati di stravolgere il senso storico di un triste tempo di violenza e di eversione.
Ci rendiamo conto che è difficile guardare in faccia una stagione non onorevole della propria giovinezza; è una realtà che sarebbe comprensibile superare riconoscendone apertamente la negatività e gli errori. È invece terribilmente sgradevole ascoltare oggi nuove interpretazioni che nella realtà tendono a cambiare i fatti e il loro incontrovertibile significato.

A noi, alla nostra memoria, tornano le immagini e le cronache di ciò che ci è accaduto. Riandiamo ai resoconti giornalistici, ai riscontri processuali e alle sentenze. E non possiamo dimenticare le allora tracotanti dichiarazioni dei vari aguzzini che infierirono con ferocia su alcuni di noi e che in seguito hanno espresso giudizi su quegli anni di piombo, ascoltati come oracoli, amplificati da abili comunicatori.
Alcuni di loro che definisco “selvaggi esecutori” hanno avuto dal sistema che volevano abbattere ogni sorta di aiuto in carcere: assistenza sanitaria gratuita, lezioni per conseguire la laurea a spese dello Stato, permessi per andare a teatro, sconti per uscire: . ogni considerazione e aiuto anche fuori dal carcere o per evitarlo o per uscirne. Al contempo le vittime superstiti e i loro famigliari spesso penavano per campare e per mantenere la famiglia provata da tristi vicende. Avrei tanti episodi da evidenziare, ma per rispetto dei protagonisti devo tacere.

Noi vittime abbiamo subito gli attentati e poi ogni sorta di ingiurie indirette da parte di chi giustificava di fatto gli accadimenti, in non pochi casi cercando di accreditare la tesi che gli autori erano stati mossi da idealità e dalla necessità di rispondere con il terrorismo a urgenze sociali e politiche.
Pretesa ancor più risibile solo che si pensi che la maggioranza dei terroristi non erano appartenenti a famiglie socialmente disagiate, ma vivevano esistenze privilegiate. La colpa delle loro famiglie, se mai esiste, è di non aver trasmesso loro quei valori e quei principi di umanità che avrebbero dovuto impedire di seguire la strada della violenza e del terrorismo.

Essi hanno invece subìto il fascino di quegli intellettuali che prefiguravano avventure rivoluzionarie. Alcuni di questi sono stati di fatto i mandanti morali di tante tragiche vicende. Ricordo uno di loro, Toni Negri, che poco tempo fa è stato indicato dal giornale francese ‘Nouvel Observateur’ come uno dei più grandi pensatori di questo secolo. In effetti egli è stato con i suoi scritti, che sintetizzo in quel “…ragazzo brucia …” che risuonò in molte piazze d’Italia, il maestro di tanti sventurati giovani.
E per causa di ‘insegnamenti’ come il suo infatti i ragazzi bruciarono la loro vita, attraverso l’attuazione di eccessi e nefandezze di ogni genere.

Ancora oggi, tutte le volte che si affrontano vicende di terrorismo sempre emergono re-interpretazioni e non si rinuncia a diffondere falsi valori, si rigenera e manipola la verità per diffonderne ad arte solo alcuni “brandelli ”. Mi sorge il dubbio che si voglia riportare alla ribalta il costante intento dell’amnistia all’insegna di una non ben definita esigenza di pacificazione.

Penso anche a tante sollecitazioni che ci pervengono a fare azioni di riconciliazione verso gli autori di reati nei nostri confronti. Noi vittime non abbiamo necessità di riconciliarsi con nessuno, sono i terroristi che debbono pensare di riconciliarsi con la loro coscienza: ammettendo non solo le loro scelleratezze, ma che l’ideologia della violenza e del terrorismo non ha giustificazione alcuna, neppure come pretesa risposta ad altre violenze. Questa presa di coscienza non può non riguardare anche tutto il coro intellettuale che parteggiò per il partito dell’eversione.
Sembra banale tutto ciò? Forse no, soprattutto se pensiamo a vicende recenti, anche di terrorismo internazionale.
In ogni caso non si può chiudere per decreto un periodo di terrorismo con centinaia di morti e migliaia di feriti senza dare risposte precise.

La rimozione del segreto di stato sarebbe un utile provvedimento in tal senso.
Come sarebbe indispensabile una rivisitazione di norme e di convenzioni internazionali con altri stati per far emergere momenti di giustizia e di verità. Questo non vuole dire vendetta o sete di condanna, bensì esigenza almeno morale di verità storica. Anche per fare giustizia delle complicità e delle omertà.
Non sfugge tuttavia che oggi in Italia la quasi totalità dei terroristi condannati ha chiuso il suo conto con la giustizia, scontando la pena, sia pure talvolta con le facilitazioni che s’è detto. È il caso di ricorrere a un’altra legge premiale per pochi detenuti tuttora in carcere e prossimi alla libertà?
Un provvedimento approvato dal Parlamento, con la prescrizione dei delitti, sarebbe forse un atto pietoso in favore della riconciliazione e della pacificazione, ma non sanerebbe la frattura storica con quanti non vogliono superare una comune condivisione con la ‘memoria’ . Il terrorismo nostrano non è certo estinto. Le uccisioni di Massimo D’Antona, di Marco Biagi e di Emanuele Petri sono troppo recenti per poterle dimenticare.
E le vittime hanno sempre, devono sempre avere, la priorità rispetto agli assassini.

Un altro impegno preliminare è il dovere dello Stato a risarcire ed assistere le vittime con leggi idonee e valide, seppur tardive. Lo Stato non può mai essere colpevole, ma chi lo rappresenta sì. Di conseguenza è dovere dello Stato ammettere di essere responsabile, se chi lo rappresentava non è stato capace di evitare errori anche solo per incapacità. . Mi permetto di aggiungere questa riflessione che nasce da un malessere pregresso, ma è legata alle difficoltà di attuazione della legge 206 promulgata nell’agosto del 2004 che stenta a decollare nella sua attuazione, perché carente di elementi interpretativi e soggetta a trappole burocratiche di ogni sorta.
Si chiede attraverso questa tribuna un’attenta rivisitazione della 206 da parte delle forze politiche sia del governo che dell’opposizione, affinché le vittime non debbano sempre essere umiliate da reiterate richieste burocratiche, quasi fossero dei questuanti, ma possano soddisfare i propri diritti con norme certe.

Nella giornata europea di commemorazione ricordo che noi vittime siamo state costrette a condividere una tragedia nazionale. Non intendiamo svolgere alcuna funzione di contrappasso politico o porci come vendicatori.
Sentiamo l’impegno della memoria come un apporto tuttora vivo e utile in favore dello stato di diritto e del reale esercizio dei valori costituzionali.

Maurizio Puddu

 

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