TESTO DELL’INTERVENTO DEL PRESIDENTE AIVITER, DANTE NOTARISTEFANO, IN OCCASIONE DELL’INCONTRO CON IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FRANCESE NICOLAS SARKOZY

TESTO DELL’INTERVENTO DEL PRESIDENTE AIVITER, DANTE NOTARISTEFANO, IN OCCASIONE DELL’INCONTRO CON IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FRANCESE NICOLAS SARKOZY

  • 22 Ottobre 2008

Parigi, 22 ottobre 2008

TESTO DELL’INTERVENTO DEL PRESIDENTE AIVITER, DANTE NOTARISTEFANO, IN OCCASIONE DELL’INCONTRO CON IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FRANCESE NICOLAS SARKOZY

Signor Presidente,
La ringraziamo per avere voluto ascoltare la voce delle vittime del terrorismo italiano e dei loro famigliari. È la prima volta che ciò avviene e di questo le diamo merito.

La nostra associazione ha dovuto registrare con dolore per quasi trenta anni l’atteggiamento della Francia verso il problema del terrorismo italiano degli Anni Settanta e Ottanta.
A noi, ed alla grande maggioranza dell’opinione pubblica italiana, è sembrato che una distorta visione culturale abbia accreditato assassini e attentatori come idealisti e vittime di un regime giudiziario e politico mai esistito in Italia dopo il 1945.
Nel nostro paese si sono incrociate per qualche tempo diverse trame eversive, da un lato di destra neofascista e di impronta reazionaria, con connivenze anche in seno ad apparati dello Stato, dall’altro lato di sinistra estremista e rivoluzionaria. Non c’è dubbio che dominanti siano ben presto diventate queste ultime, col dilagare del terrorismo delle Brigate Rosse e di altre sigle di matrice neo marxista e comunista.
Un dato ha accomunato fenomeni pur diversi ed opposti: il dato della intolleranza e della violenza politica, dell’esercizio arbitrario della forza, del ricorso all’azione criminale per colpire l’avversario politico, visto come nemico, e cittadini indifesi presi a simbolo per sfidare lo Stato democratico.
A queste pericolose trame eversive si è opposta la pratica della convivenza pacifica, della tolleranza politica e culturale, delle regole democratiche, dei princìpi, dei diritti e dei doveri sanciti dalla nostra Costituzione repubblicana. È stata, questa, la cultura delle vittime: studiosi, magistrati, avvocati, giornalisti, amministratori locali, dirigenti d’azienda, commercianti, rappresentanti dei lavoratori, militari, uomini delle forze dell’ordine, politici e altri ancora, sino al caduto più alto e significativo: il presidente della Democrazia Cristiana, sequestrato, tenuto prigioniero per quasi due mesi e infine ucciso con decisione spietata.

Lo Stato italiano, il suo sistema penale e penitenziario, si è mostrato in tutti i casi assai generoso con i terroristi : ma dei benefici ottenuti gli ex terroristi si sono spesso avvalsi per cercare tribune da cui esibirsi, dare le loro versioni dei fatti, tentare ancora subdole giustificazioni. C’è chi ha detto di provare “rammarico per i famigliari delle vittime delle BR”, ma aggiungendo di aver dato per scontato che “quando si fanno azioni di un certo tipo” accade di “dare dei dispiaceri ad altri”.
Nessuno ha mai garantito i colpevoli di terrorismo come l’Italia, sia durante la detenzione, con inusitate riduzione di pene, che dopo, spesso favorendone l’inserimento sociale in istituzioni pubbliche.

Rileviamo che ben più giustamente dura è stata la Francia con i suoi pochi terroristi.
Eppure diversi esponenti della cultura francese ritengono di dover tutelare i cosiddetti ex terroristi italiani quasi come fossero irredentisti. Ad essi è stata di fatto concessa negli ‘anni di piombo’ la libertà di uccidere e ferire e, oggi, è loro riservato il destino d’essere assurti a simbolo degli intellettuali perseguitati. Eppure, come dimostrano le loro stesse testimonianze, essi – una minoranza estrema, quanto esigua – non delinquirono per combattere le ingiustizie sociali, ma per tentare di sovvertire lo stato democratico.
In Italia, i tribunali hanno giudicato gli atti di terrorismo senza ricorrere a ‘leggi speciali’ liberticide e, almeno per i fatti di sangue e per gli omicidi, le sentenze definitive – almeno tre gradi di giudizio – non possono non essere riconosciute nell’Unione Europea. Se non lo fossero, quali prospettive potrebbe mai avere una giustizia europea?
Come ci ha scritto Françoise Rudetzki, fondatrice di S.O.S. Attentas, tra i molti messaggi di solidarietà ricevuti dalla nostra associazione la scorsa settimana, “Le frontiere non devono ormai più proteggere i terroristi. Al fine di evitare ogni sorta di ricatto, l’Unione Europea, che è fatta di democrazie rispettose dei diritti dell’uomo, deve urgentemente abolire le frontiere giudiziarie come quelle economiche e della libera circolazione delle persone.”

L’atteggiamento della gauche, che in Italia trova conforto solo in alcuni settori della sinistra estrema, noi lo consideriamo offensivo, oltre che politicamente improvvido. E dimostra quanto molto ancora ci sia da fare per rendere “uguali” gli europei in ogni parte del territorio dell’Unione.
Come è stato recentemente sottolineato dal Simposio della Nazioni Unite, che il Segretario generale Ban Ki-moon ha dedicato alle vittime del terrorismo, garanzie e diritti devono essere previsti anche per le vittime. Nel caso italiano, le vittime altro non erano se non cittadini spesso inermi, sempre incolpevoli, resi invalidi e uccisi da giovani privilegiati, talvolta per nascita e sempre per la formazione culturale ricevuta.
Per noi, che i terroristi abbiano storpiato e assassinato per motivi ideologici, come pretendono, non è un’attenuante; semmai è un’aggravante. Sempre loro e i loro sòdali troveranno mille e una parola per ingannare, mistificare il passato, continuare ad offendere la memoria dei morti. Come puntualmente avviene nel mondo anche per recenti orrori, sempre qualche “buona ragione” giustifica le ‘buone cause’.
I latitanti, soprattutto gli assassini, a fronte di reati universalmente riconosciuti e di condanne definitive, non possono invocare privilegi di tutela.
Durante la presidenza Mitterrand, il guardasigilli Robert Badinter – che ebbe l’onore di chiedere alla Francia l’abolizione della pena di morte – dichiarò che lo Stato francese deve mantenere la parola data anche a proposito dei terroristi, questo ci preoccupa come cittadini europei e come vittime. Nell’Europa attuale nessun pseudo garantismo può giustificare degli assassini.

Né si possono trovare giustificazioni nel fatto che sono passati 20 anni e che, non avendo estradato i colpevoli allora, ora questi hanno maturato il diritto di vedere prescritti i propri delitti. L’assassinio non si prescrive e i killer latitanti spesso dimostrano di non considerare sbagliata la loro antica condotta, anche se dichiarano il contrario.
Gelosamente hanno custodito e nutrito negli anni la presunzione di chi ha agito per il meglio, insieme alla certezza di essere nobili avventurieri che l’hanno fatta franca.
Ho detto all’inizio del nostro dolore per le conseguenze della dottrina Mitterrand e dell’atteggiamento degli intellettuali francesi della gauche. Il fatto è, signor Presidente, che molti di noi si sono formati sulla tradizione culturale francese: abbiamo amato e amiamo come nostra la vostra grande memoria storica, la laicità, le suggestioni della vostra civiltà, così che il vostro atteggiamento in favore di delinquenti e assassini ci pare come una sconfitta personale e lo viviamo come il tradimento dello spirito stesso delle vostre tradizioni liberali, poiché una pretesa “giustizia sociale” contrapposta alla legalità è sempre stata alla base dei totalitarismi.
Signor Presidente, nel suo discorso di investitura dell’anno scorso, fu Lei a porre la domanda: «Perché la sinistra non sente più la voce di Albert Camus?». Ebbene, oggi noi auspichiamo che l’insegnamento del premio Nobel entri a far parte del patrimonio della cultura politica di tutta l’Europa, avendo le parti politiche ben presente che ogni ribellione non può prescindere dal senso della misura, perché è la dismisura a giustificare il terrore: «Il bene assoluto e il male assoluto, se vi si mette quanto occorre di logica, esigono lo stesso furore».

Le chiediamo, signor Presidente, il rispetto della nostra giustizia che, anche nel caso Petrella, ha dalla sua la forza del diritto naturale al rispetto della vita umana, che non può essere confuso con nessuna ragione di Stato. D’altra parte anche l’ordinamento carcerario italiano è in grado di garantire ai detenuti le cure necessarie.


paris-22-10-08
La delegazione dell’associazione italiana vittime del
terrorismo (AIVITER) ricevuta all’Eliseo e composta da:
Dante Notaristefano, Sabina Rossa, Massimo Coco, Alberto
Torregiani, Luca Guglielminetti

 

In ottemperanza alle disposizioni nazionali relative alle norme da adottare per il contenimento del coronavirus si informa che la Segreteria operativa di Aiviter resterà chiusa sino al  31 marzo  2022

Durante il periodo di chiusura l’attività della nostra Associazione continuerà seppur a regime ridotto.

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