AIVITER: RAGGIUNTO IL MASSIMO PARADOSSO

AIVITER: RAGGIUNTO IL MASSIMO PARADOSSO

  • 13 Aprile 2011

Lo storico Giovanni De Luna e le vittime

VITTIME DEL TERRORISMO: RAGGIUNTO IL MASSIMO PARADOSSO

Torino, 13 aprile 2011

Abbiamo visto di tutto in questi decenni che ci separano dagli anni di piombo. Abbiamo assistito alle carriere nel ceto dirigente di ogni settore del nostro paese di quasi tutto quel mondo intellettuale che negli anni ’70 simpatizzava, affiancava o partecipava al tentativo di sovvertire l’ordine costituzionale dello Stato, attraverso la violenza diffusa e il terrorismo.
Abbiamo quindi visto gli ex terroristi diventare scrittori, giornalisti, editori, parlamentari, consulenti di ministri e assessori di ogni livello territoriale.
Le carriere dei membri di quel mondo che fu poi definito “brodo di coltura” della militanza terroristica, sono state più difficili da seguire: decine di migliaia di persone di cui la giustizia in quegli anni si era occupata solo marginalmente per l’urgenza di fermare i gruppi di fuoco.
Questa premessa per giungere ad affermare che negli scorsi giorni abbiamo letto, con profondo stupore, parole che raggiungono il grado maggiore tra i paradossi possibili: la nostra repubblica degli ultimi 30 anni sarebbe caratterizzata dalla ‘centralità’ delle vittime!

Lo storico Giovanni De Luna, dopo aver posto all’analisi dei suoi studi gli stessi anni della sua militanza giovanile (“Le ragioni di un decennio. 1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria”), su La Stampa dello scorso 3 aprile ha fornito un anticipo del suo ultimo saggio “La repubblica del dolore. Le memorie di un’Italia divisa”.
Dopo la rivendicazione delle ragioni della propria militanza, De Luna ha sferrato un durissimo attacco alle vittime con un ragionamento che parte da una presunta privatizzazione delle memorie attraverso le “televisioni del dolore” le quali, fin dagli anni ’80, avrebbero reso impossibile agli storici di fare il loro mestiere e alle istituzioni pubbliche di mantenere la loro identità nazionale. Per compensare la deriva televisiva e privatistica della memoria, la classe politica, secondo lui, non avrebbe trovato di meglio da fare che approvare una serie di “leggi di memoria”, per le vittime di questo e di quell’altro. Con il pessimo risultato di ottenere – egli conclude – che “la centralità delle vittime posta come fondamento di una memoria comune divide più di quanto unisca”.

In tutta franchezza, è difficile vedere un paese diviso perché c’è un giorno dell’anno dedicato alle vittime della mafia, piuttosto che a quelle della shoah, o a quelle delle foibe. L’impressione è che lo storico torinese, curatore tra l’altro della mostra sui 150 anni di Unità d’Italia (nella quale per altro le vittime della mafia sono le uniche privilegiate da un spazio apposito), abbia annegato un problema in un contesto più ampio per nasconderlo, forse, anche alla sua coscienza di ex militante degli anni ’70. Le sole vittime che dividono il paese in modo palese, ma più spesso sotterraneo, sono quelle del terrorismo.

Queste ultime è abbastanza noto che non abbiano mai goduto per oltre 30 anni né di buona stampa, né di alcuna attenzione da parte degli storici. La loro memoria non ha interessato per decenni nessuna televisione, nessun partito, nessun ricercatore, fino a quando non hanno posto la loro esistenza all’onore del mondo attraverso le pubblicazioni e il sito internet della nostra Associazione (2004), e quando un giornalista, Giovanni Fasanella (2006), ha iniziato ad intervistarle per un libro. Solo tardivamente intervenne il Parlamento con la legge di memoria, nel 2007: trent’anni dopo gli omicidi di Carlo Casalegno, di Antonio Custra, di Roberto Crescenzio, per citarne solo alcuni.

Non sono certo le vittime, ma semmai i loro carnefici quelli che in questi decenni sono assurti ai vertici dell’establishment o saliti in cattedra, non di rado in qualità di maître à penser di giovani generazioni, in virtù di eroiche imprese cui non sono mancati i riconoscimenti di silenziose ambiguità politiche, nonché articolate e dotte riconsiderazioni generazionali come quelle svolte dello storico torinese.

Quest’utima tesi di Giovanni De Luna abbiamo l’impressione che suoni in verità come una velata minaccia rivolta ai suoi colleghi storici che, solo negli ultimissimi tempi, stavano avvicinandosi a studiare gli anni del terrorismo utilizzando anche una diversa fonte testimoniale, quella delle vittime. Queste ultime potrebbero mettere in crisi una storiografia che fino a ieri si era limitata alle fonti giudiziarie o alla testimonianza dei carnefici, in quanto la loro memoria ha cose da raccontare che potrebbero infastidire molte carriere, anche accademiche.

Per il Consiglio Direttivo Aiviter, Dante Notaristefano

AIVITER – Associazione Italiana Vittime del Terrorismo
e dell’Eversione Contro l’Ordinamento Costituzionale dello Stato

 

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