1997/2007: trent’anni fa

1997/2007: trent’anni fa

  • 25 Gennaio 2017

crescenzio1

ROBERTO CRESCENZIO, BRUCIATO DALLE MOLOTOV

Il 30 settembre 1977 si tiene a Roma una manifestazione organizzata da Lotta Continua, un gruppo extraparlamentare di sinistra, forza egemone del ‘movimento’ che ha largo seguito tra gli studenti, fino a contendere alle organizzazioni giovanili dei partiti, soprattutto alla Fgci del Pci, la leadership politica negli atenei.
Nella capitale Lc è contrastata da frange di destra. L’odio tra i due schieramenti è inestinguibile e non c’è manifestazione che non dia luogo a scontri e incidenti. Anche il corteo di fine settembre sfocia in violenze. La polizia interviene. Alcuni neofascisti, coprendosi dietro un blindato delle forze dell’ordine, sparano verso gli avversari. Walter Rossi, militante di Lc, è colpito a morte.
In tutta Italia esplode la protesta. Il 1° ottobre Lotta Continua indice a Torino una manifestazione, chiamando a raccolta tutte le forze politiche della sinistra antifascista. L’appuntamento è per le 9.30 in piazza Solferino. Dapprima piuttosto scarsi, poi sempre più numerosi, i giovani convergono alla spicciolata in tre cortei provenienti da via Cernaia, via Nizza e via Po: universitari, specie del Politecnico, molti giovanissimi con i libri sottobraccio, liceali degli istituti Gioberti, D’Azeglio, Volta e Galileo Ferraris.
Sono assenti i sindacati e i partiti dell’ ‘arco costituzionale’. Non mancano, invece, nuclei armati della cosiddetta “autonomia operaia”.
Circa un’ora più tardi, preceduta da un grande striscione di Lotta Continua, si muove la testa del corteo verso piazza Statuto, lungo via Cernaia, corso Siccardi, via Garibaldi. A controllare i tremila manifestanti solo una ventina di agenti e funzionari di ps, dislocati in coda.
Fin dalla partenza, e poi lungo tutto il percorso, è evidente l’obiettivo. Uno dei cori, particolarmente significativo, è intonato sul ritmo di ‘Jesus Christ Superstar’ e dice “Brucerà, brucerà, porca… se brucerà” riferendosi alla sede missina di corso Francia 19.
La scena diventa drammatica quando le prime file di manifestanti (scortate solo da due vigili urbani motociclisti) si lasciano alle spalle piazza Statuto e imboccano corso Francia. Cessano gli slogans, i canti, le grida: un silenzio carico di tensione cala sul corteo, che avanza nel corso semideserto. Le automobili scompaiono inghiottite dalla vie laterali mentre i negozianti, presi alla sprovvista, chiudono porte e abbassano saracinesche.
Sui volti di decine di giovani delle prime file calano i passamontagna, altri si mascherano con fazzoletti annodati alla nuca, dai tascapane escono bottiglie incendiarie e cubetti di porfido.
I contingenti di polizia e carabinieri, piuttosto scarsi, sono rimasti fino a questo momento nelle vie attigue. Quando la testa del corteo è quasi all’angolo di via Principi d’Acaja, un centinaio di carabinieri e agenti della V Celere con giubbotti antiproiettile, fucili e candelotti lacrimogeni innestati, esce a sbarrare corso Francia. L’assalto scatta in quell’istante e coinvolge due tram della linee 3 e 6 fermi al semaforo.
Decine di giovani si scagliano, divisi in gruppetti, verso la sede missina lanciando molotov, pietre, bulloni, ma vengono respinti con una scarica nutrita di lacrimogeni. Una delle bottiglie incendiarie colpisce un albero, oltre il tetto di un tram, per qualche attimo si teme che l’incendio avvolga la vettura e i passeggeri, poi il fuoco si spegne.
Lo stesso avviene per una 500 ed una Lancia Beta raggiunte da una bottiglia incendiaria, mentre un’altra vettura brucia quasi interamente in via Schina perché l’autopompa dei vigili del fuoco è bloccata in piazza Statuto. Il fumo acre dei lacrimogeni prende alla gola, in molte strade del quartiere la gente cerca rifugio nei portoni con gli occhi lacrimanti, impaurita. Ad ogni nuovo tentativo di assalto degli estremisti le forze dell’ordine rispondono con crepitanti bordate di candelotti. Hanno terminato le scorte, quando gli ultimi gruppetti di dimostranti ripiegano definitivamente verso piazza Statuto.
Costretti a ritirarsi, i dimostranti formano nuovamente un corteo ridotto a mille unità e puntano verso il centro. Con azioni da commando, a piccoli nuclei, mandano in frantumi i vetri di una farmacia, scagliano molotov in via Mercantini 6 contro il portone chiuso della sede Cisnal e del consolato austriaco, poi espropriano giacche e pantaloni in un negozio di via Pietro Micca.
Alle 11.45, l’episodio più grave. Dal corteo, che sta svoltando in via Sant’Ottavio per raggiungere l’Università, si stacca un gruppuscolo di dieci-dodici manifestanti mascherati e carichi di molotov. L’obiettivo è il bar-discoteca Angelo Azzurro, via Po 46, già incendiato il 22 aprile perché definito “covo di fascisti” o “locale borghese”. All’esterno del bar sosta in quel momento il proprietario Luigi De Maria, all’interno vi sono solo quattro persone: la moglie del titolare, Maria Benedetta Evangelista, il barista, Bruno Cattin e due amici che prendono l’aperitivo, Roberto Crescenzio, studente-lavoratore, e Diego Mainardo, operaio Fiat e studente di ingegneria.
La moglie del titolare e il barista riescono a fuggire dal retro, Diego Mainardo viene malmenato e gettato fuori, poi gli estremisti lanciano un grappolo di bottiglie incendiarie nel locale e esplode il dramma. Roberto Crescenzio, terrorizzato, cerca scampo nella toilette e segna così il proprio destino. In un baleno le fiamme divorano la moquette, quando il giovane tenta a sua volta di uscire si trova davanti a un muro di fuoco.
Quasi soffocato e accecato dal fumo acre, inciampa, rotola sulla moquette fusa e si trasforma in torcia umana. Si rialza e raggiunge i portici di via Po. I passanti lo vedono uscire barcollante, gettarsi a terra per spegnere le fiamme che lo avvolgono. Lo aiutano a soffocare il fuoco con una coperta. Gli tagliano le scarpe, lo liberano dei vestiti incollati sul corpo annerito dalle piaghe. Lo adagiano su una sedia in mezzo alla strada, lo coprono alla meglio in attesa dell’ambulanza. Roberto urla dal dolore, un grido sempre più debole che si trasforma in rantolo.
La foto che lo ritrae quasi in agonia, seduto con la pelle a brandelli, emoziona la gente e orienterà l’opinione pubblica più di tutti i comunicati e gli sforzi delle istituzioni pubbliche e dei partiti.
Anche perché Crescenzio è figlio di gente umile, immigrata dal veneto. Il padre, Giovanni, è un decoratore, Roberto, perito industriale e iscritto al terzo anno di Chimica e tecnologia farmaceutica, lo aiuta nell’attività per pagarsi gli studi.
Crescenzio viene portato al Centro grandi ustionati del Cto dove la diagnosi è senza speranza, con il 90 per cento del corpo bruciato il giovane non potrà sopravvivere.
In via Po, intanto, il panico aumenta. Alcuni dimostranti tentano di impedire ai vigili del fuoco di avvicinarsi al locale in fiamme; auto vengono colpite da sassate, l’intero edificio in cui si trova il locale è invaso dal fumo; un bimbo di tre anni, figlio di un giudice, con la nonna e la baby-sitter, prigionieri sul pianerottolo del quarto piano rischiano la morte per asfissia, vengono trovati svenuti e sono tratti in salvo dai vigili del fuoco.
Le sofferenze di Roberto Crescenzio durano poco più di due giorni poi, il 3 ottobre, sopraggiunge la morte per collasso cardio-circolatorio. Fino all’ultimo lo assiste il padre Giovanni straziato dal dolore. “Ha visto nostro figlio con le carni martoriate – racconta la madre Elvira – e da allora non ha più saputo trovare pace. Da questi strazi non ci si può riprendere, alla fine hanno portato mio marito alla morte”.
Lo vegliano anche gli amici dell’università, che saranno tutti presenti ai funerali nella chiesa di San Giulio in Orta. Sono gli unici che, in quelle ore, hanno il coraggio della verità: “Siamo vicini a parenti ed amici della vittima innocente di un assurdo odio di classe portato all’esasperazione da gruppi dell’Ultrasinistra…” .
Lo sdegno di tutti è grandissimo. I sindacati annunciano la sospensione dal lavoro per un quarto d’ora. Gli studenti della Fgci raccolgono firme davanti ai resti del locale di via Po: “ Firma anche tu contro ogni forma di violenza – recita il manifesto vergato a mano – contro la violenza dei fascisti e per sconfiggere il partito armato della cosiddetta Autonomia Operaia…”.
La Regione aiuta i proprietari del Bar ‘Angelo azzurro’, che hanno perso tutto, con un primo stanziamento di 5 milioni; il sindaco porta la solidarietà della città, il Comune fa svolgere i funerali a spese della municipalità. Alla cerimonia pubblica intervengono delegazioni e gonfaloni.
Per alcuni Roberto Crescenzio non è propriamente un ‘caduto del terrorismo’, piuttosto una ‘vittima del caso’ . L’odio e l’insensatezza che lo uccisero sono però gli stessi. E la Città giustamente così lo ricorda ancora oggi nelle cerimonie ufficiali.

 

In ottemperanza alle disposizioni nazionali relative alle norme da adottare per il contenimento del coronavirus si informa che la Segreteria operativa di Aiviter resterà chiusa sino al  31 marzo  2022

Durante il periodo di chiusura l’attività della nostra Associazione continuerà seppur a regime ridotto.

Per coloro che necessitano di contattarci per urgenze preghiamo indirizzare al nostro recapito mail  info@vittimeterrorismo.it  sinteticamente le richieste e segnalando anche un  contatto telefonico.