5 giugno 2006

5 giugno 2006

  • 5 Giugno 2006

TORINO, IL GESTO PER PROTESTARE CONTRO L’ELEZIONE A SEGRETARIO DELLA CAMERA DELL’EX PRIMA LINEA, D’ELIA.
Il figlio del maresciallo Berardi e Segretario della nostra Associazione copre la lapide in memoria del padre

Da LA STAMPA del 5/6/2006

CORSO BELGIO IL GESTO PER PROTESTARE CONTRO L’ELEZIONE A SEGRETARIO DELLA CAMERA DELL’EX PRIMA LINEA, D’ELIA

«E’ il de profundis per la giustizia»

Il figlio del maresciallo Berardi copre la lapide in memoria del padre

«Non ci sono più assassini. Non ci sono più vittime. E’ morta la resistenza. E’ morta la democrazia. E’ morta la giustizia». Recita così il cartello con il quale Giovanni Berardi, segretario dell’Associazione italiana vittime del terrorismo, ha coperto ieri mattina la lapide in memoria del padre Rosario, maresciallo della polizia ucciso da un commando delle Brigate Rosse il 10 marzo 1978, in corso Belgio. Un gesto voluto soprattutto per protestare contro l’elezione alla carica di segretario di presidenza della Camera dell’ex terrorista di Prima Linea Sergio D’Elia, condannato a 30 anni di carcere per l’omicidio di un poliziotto. «Sono più di trent’anni – spiega Berardi – che chiediamo di tutelare la memoria delle vittime del terrorismo in modo concreto e non solo a parole, come purtroppo fanno certi politici quando si tratta di raccogliere voti. Poi, però, vediamo ex terroristi, condannati a pene pesantissime, eletti a prestigiose cariche istituzionali oppure assistiamo a un dibattito sull’amnistia che è di una banalità disarmante». Quello di Berardi è un richiamo «alla democrazia e alla giustizia per cui mio padre è stato ucciso. E come lui altre 400 persone. Proprio queste persone, ma soprattutto le loro vedove ed i loro orfani, non meritano di essere offesi. Verso di loro lo Stato deve avere almeno rispetto». Berardi confessa il suo smarrimento di fronte alla grazia che oggi tanti invocano a favore di terroristi che non si sono pentiti: «Noi non siamo contrari alla concessione della grazia, ma non accettiamo le concessioni della grazia ad personam. Siamo dunque contrari anche alla grazia che si vuole imporre a Sofri, che non l’ha mai chiesta e che ora pare pretenderla quasi fosse un risarcimento. Sta passando la tesi che i responsabili di qualsiasi nefandezza debbano tornare a respirare l’aria della libertà. Io posso solo ribattere che mio padre è da 28 anni che non respira più. Perché qualcuno gli ha sparato». Oggi, il figlio del maresciallo aggiunge che ora può accadere davvero di tutto: «Chi potrebbe stupirsi, dopo quanto è successo, della nomina di Curcio o di Moretti a consulenti di Prodi o di Napolitano?». Commenta però il futuro vicesindaco di Torino, Tom Dealessandri: «Da un punto di vista emotivo, sento di essere solidale con Giovanni Berardi, con la sua amarezza. Un uomo che ha avuto il padre ucciso in quel modo, credo proprio non possa che provare quei sentimenti, in generale; da un punto di vista politico e umano però non sono d’accordo. Io, come sindacalista, ho vissuto molto da vicino quel difficile periodo, che comunque è ormai alle spalle. Sono passati trent’anni da quei fatti sanguinosi. Ci sono stati cambiamenti profondi, la sconfitta del terrorismo rosso è stata totale. Le persone che hanno compiuto, allora, scelte sbagliate ma che hanno pagato il loro debito con la giustizia e con la società, devono avere la possibilità di un pieno e totale reinserimento, sotto ogni profilo. Non sarebbe auspicabile che siano tenute ai margini per decenni. E poi una società democratica veramente forte non ha nulla da temere da chi ha abbandonato per sempre il terrorismo».

a. con.

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