testo dell’Associazione Italiana Vittime del Terrorismo sulla recente polemica nata dall’articolo di Sofri sul Foglio di giovedì 11 settembre
Torino, 18 settembre 2008
SOFRI E GLI ALTRI
L’11 settembre, su Il Foglio, Adriano Sofri è ritornato con un lungo articolo “quasi un’autoanalisi “sull’assassinio di Luigi Calabresi, per il quale è stato condannato come mandante. E lo ha fatto, innanzi tutto, per dichiararsi ancora una volta innocente e poi per affermare che l’omicidio Calabresi non fu un atto terroristico. La nostra Associazione conosce bene il meccanismo in gioco: il prof. Angelo Ventura, già al nostro convegno del 1986 segnalava che: “Gli studiosi delle forme di violenza politica conoscono bene la tendenza dell’opinione pubblica a criminalizzare la vittima, per rassicurarsi ed esorcizzare il pericolo, convincendosi che in fondo la vittima qualche cosa deve pur aver fatto per meritarsi la violenza. È questo uno dei principali effetti psicologici che intende ottenere il terrorismo, secondo un meccanismo già largamente sperimentato dallo squadrismo fascista…”.
Luigi Calabresi prima di essere assassinato fu linciato mediaticamente giorno dopo giorno, inizialmente sul quotidiano Lotta Continua (« [Calabresi] dovrà rispondere di tutto. Gli siamo alle costole, ormai, ed è inutile che si dibatta come un bufalo inferocito (…) Qualcuno potrebbe esigere la denuncia di Calabresi per falso in atto pubblico. Noi, che più modestamente di questi nemici del popolo vogliamo la morte…» (Camilla Cederna, Lotta Continua del 6 giugno 1970) e poi da un famigerato “appello” («un torturatore» … «responsabile della morte di Giuseppe Pinelli»), che raccolse su L’Espresso ottocento firme di noti, famosi e illustri intellettuali: articoli e manifesto contenevano espliciti inviti alla violenza.
A causa di questa denigratoria campagna di stampa, ai tempi una parte dell’opinione pubblica non condannò l’omicidio del commissario Luigi Calabresi. Adriano Sofri ancora oggi si ostina a porre le vittime su una linea valoriale, per cui la vita di Pinelli vale più di quella di Calabresi, perché questo ultimo avrebbe avuto delle responsabilità che il primo non aveva.
Non è così. Non lo è, non solo per le risultanze processuali, ma da un punto di vista morale: le vittime non possono essere giudicate mai in relazione alla causa dei terroristi. Noi rivendichiamo il valore assoluto del dolore delle vittime, senza che nulla di esterno possa servire a relativizzarlo.
Diversi terroristi rossi affermano ancor oggi la loro estraneità al terrorismo in quanto nella loro azione eversiva non hanno lanciato bombe, non hanno utilizzato armi bianche né mai hanno attirato in trappole le pattuglie di forze dell’ordine. Parecchi di loro, poi, dichiarano come nobili padri i partigiani e la Resistenza tradita. Sofri, per l’esecuzione del commissario Calabresi, si richiama anche alla giusta indignazione per la strage di Piazza Fontana ed alla vendetta per le vittime di quell’attentato e per le mire dei neo fascisti.
Per quanto ci riguarda, terrorista è chi utilizza la violenza a fini politici, ma anche chi istiga a utilizzare la violenza. Secondo la Corte di Cassazione “Per terrorismo si deve intendere qualsiasi condotta diretta contro la vita e l’incolumità di ogni persona al fine di diffondere, per motivi religiosi, politici o ideologici, il terrore fra la popolazione o costringere uno Stato o un’organizzazione internazionale a compiere o a omettere un atto”.
E’ pertanto fuori dubbio che l’omicidio Calabresi abbia avuto matrice chiaramente terroristica.
L’articolo del leader di Lotta Continua è solo il più eclatante di una serie di episodi tendenti a riaccreditare politicamente e culturalmente i terroristi degli Anni Settanta/Ottanta. Siamo alla vigilia di altri articoli, libri, interviste che verranno a rinforzare queste tesi dei “bravi ragazzi”, i Good Fellows che si ritenevano – e si ritengono – mossi da ideali giusti malamente indirizzati verso atti (forse) riprovevoli.
Abbiamo questa amara certezza perché tutti costoro, assassini e mandanti, non erano soli. Non erano dei Sante Caserio, dei romantici anarchici ottocenteschi con pochi amici. Erano dei criminali con obiettivi di prospettiva ed erano sospinti, appoggiati e protetti da una nutrita avanguardia di intellettuali e militanti politici: l’humus che nutrì l’eversione criminale.
Questi uomini di cultura non sono svaniti nel nulla, molti occupano oggi posizioni di rilievo, ma pochi hanno ritenuto di rinnegare o riconsiderare criticamente gli estremismi del passato. È quindi logico che gli ex terroristi, assassini e complici di mille reati, trovino assistenza, considerazione e collocazioni di riguardo, anche presso quelle istituzioni che volevano abbattere.
Le operazioni mediatiche potrebbero riguardare anche il cinema. I libri di memorie dei terroristi sono pieni di preziose suggestioni per il cinema: giovinezza, passioni, bombe, complicità ancora misteriose, vittime, come nei film di Jessie James. I cineasti, peraltro spesso formatisi nel clima del ’70, garantiranno in perfetta buona fede la massima considerazione per le vittime, ma i protagonisti “gli “eroi”“ saranno loro, gli assassini, con in più il glamour di volti di attori belli e fascinosi. E il messaggio che ne sortirà servirà a mistificare la realtà degli “anni di piombo” ed a ingentilire la figura del terrorista nell’immaginario collettivo, in un’esemplare nemesi: paradossalmente da terrorista a vittima degli eventi, delle ingiustizie, della società… Così come Sofri, condannato come mandante, si autoconvince d’essere stato vendicatore di torti.
Riaffermiamo quindi con chiarezza che i terroristi non furono mossi da “sdegno e commozione per le vittime” (delle stragi), ma dall’odio cieco e da criminale cinismo; che nella loro sanguinaria vigliaccheria non c’era ombra di nobiltà, né allora, né tanto meno oggi: codardi e abietti eversori di ogni sigla, silenti autori delle stragi compresi, quali che fossero gli intenti che li muovevano, si rivelarono malviventi settari e ottusi nel perseguire i loro fanatismi, talvolta opportunisti e sempre spietati nell’eseguire i loro attentati verso cittadini inermi e, purtroppo, indifesi. Furono proprio le loro vittime, con il loro sacrificio, la rettitudine e la forza delle idee, a muovere l’opinione pubblica, risultando determinanti nel contrastare il terrorismo nel suo folle disegno eversivo ed a decretarne dapprima l’isolamento e poi la sconfitta. Siamo ancora noi, le vittime e i loro famigliari, a vigilare per impedire che la storia sia oggi scritta dagli eversori e dagli esecutori di ieri.
AIVITER – Associazione Italiana Vittime del Terrorismo
e dell’Eversione Contro l’Ordinamento Costituzionale dello Stato