Intervista a Maurizio Puddu , su “la Repubblica”

Intervista a Maurizio Puddu , su “la Repubblica”

  • 14 Marzo 2007
  • Da la Repubblica del 14 marzo 2007
  • Maurizio Puddu, presidente dell’associazione delle vittime del terrorismo

    “Il sangue non si dimentica: troppi privilegi a chi uccise.”

    di Caterina Pisolini

    ROMA – “I terroristi in parlamento, in televisione, a fare conferenze. E noi trattati come cittadini di serie B, costretti a sentirli raccontare come hanno ammazzato i nostri cari. E’ insopportabile, è come una ferita che si riapre ogni volta. Meno male che almeno il presidente Napoletano ha capito il nostro dolore”.
    Sono passati 30 anni, ma Maurizio Puddu, all’epoca quarantenne consigliere provinciale torinese, non dimentica. A ricordarli la mattina in cui i brigatisti gli spararono 16 colpi – con la pistola che poi uccise Carlo Casalegno – è la lamina metallica fissata con 18 viti che gli tiene assieme i resti del femore. Ma soprattutto il lavoro come presidente dell’Associazione vittime del terrorismo: centinaia di persone che, dice, gli scrivono perché si sentono ferite, umiliate, abbandonate dallo Stato.

    Cosa vi ferisce?
    “Vedere terroristi in TV, sapere che fanno conferenze e ricevono incarichi pubblici come cittadini di serie A mentre noi lottiamo per sopravvivere, spesso dimenticati da uno Stato, quello italiano, che non ha neppure indetto, come l’Europa, una giornata per le vittime del terrorismo”.

    E quelli che si sono pentiti?
    “ Non cambia, il nostro dolore è uguale. Vorremmo un po’ di silenzio, che se invitati avessero il buongusto di defilarsi, che rifiutassero cariche pubbliche perché non possono rappresentare tutti i cittadini incuranti del sangue e dolore che hanno seminato. Facciano del bene, ma in silenzio”.

    Parla di D’Elia o della Ronconi?
    “Sì, secondo noi candidarli è un offesa alle vittime, soprattutto a quelle meno famose di cui nessuno si ricorda, chi si è ritrovato senza aiuti da parte dello Stato e ha avuto la vita stravolta tra dolore e difficoltà economiche”.

    Ma non è utile che parlino?
    “Fare informazione può essere giusto. Io sono andato nelle scuole, ma c’è sempre il pericolo di essere strumentalizzati”.

    Il dialogo serve per far finire gli anni di piombo?
    “Non può finire senza verità e giustizia. E ci sono ancora tanti lati oscuri in quella scia di sangue che ha fatto centinaia di vittime e più di cinquemila feriti”.

    Divisi tra giustizia e perdono?
    “La misericordia è di Dio, la giustizia dello Stato. Il perdono è degli uomini, ma è un fatto intimo. Molti dei nostri iscritti non ce la fanno a perdonare chi ha distrutto loro la vita. Io la mano a chi mi ha sparato non gliela stringo proprio”.

    Perché?
    “Per lui non ero neppure una persona, solo un bersaglio da colpire. Un servo delle multinazionali. A me che neppure ho mai bevuto una Coca Cola”.

     

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