NON LUI, MA ALTRE SONO LE VITTIME DEGLI ANNI DI PIOMBO

NON LUI, MA ALTRE SONO LE VITTIME DEGLI ANNI DI PIOMBO

  • 7 Luglio 2004

da La Stampa
Analisi di Barbara Spinelli
NON LUI, MA ALTRE SONO LE VITTIME DEGLI ANNI DI PIOMBO
Cari amici francesi su Battisti sbagliate

7 marzo 2004

Cari amici francesi, sono settimane che frequento i vostri siti Internet sulla liberazione di Cesare Battisti, che leggo gli appelli di solidarietà e le invettive contro quelli che chiamate: i «tribunali speciali italiani». Tribunali «riservati all’estrema sinistra», è scritto nei vostri testi, che avrebbero condannato Battisti e tanti militanti rivoluzionari per atti non commessi o non provati. Se non vivessi qui a Parigi da ventiquattro anni avrei l’impressione d’esser capitata in un remoto e irriconoscibile paese, cinto da altissime mura che impediscono ai suoi abitanti d’uscire dal guscio in cui son racchiusi e di vedere il mondo esterno. Volete esser gli spiriti più liberi d’Europa, e date l’impressione di esservi fabbricati con le vostre mani una prigione mentale in cui vi trovate curiosamente bene. Vorreste essere gli spiriti più universalisti, e un singolare provincialismo sembra sommergervi, con tutti i vizi che vi s’accompagnano.

Il più grave di questi vizi mi pare l’ignoranza, ma un’ignoranza molto speciale. È un’ignoranza perentoria, che non solo non sa ma fa tutto per non sapere. È un’ignoranza militante: in molte delle cose che dite scorgo questo tono militante sessantottesco, che siete i soli in Europa a non avere abbandonato; a non aver temperato con un po’ di senso dell’umorismo, delle proporzioni. Proprio perché vivo da tanto tempo in Francia so che è anche una vostra virtù, quest’ostinato andare contro corrente. Ma oggi siete alle prese con il risvolto negativo delle vostre virtù: a forza di ascoltare solo ex rivoluzionari terroristi, sulla storia recente d’Italia, siete come divenuti ciechi.

La maggior parte di voi non sa nulla del dossier giudiziario di Battisti, nulla dei processi che lo hanno condannato per due omicidi, e quest’ignoranza è perfino ammessa. Un giornalista del settimanale Marianne, Philippe Cohen, dopo aver scritto che la condanna fu emessa «per fatti non commessi», confessa a Panorama «di sapere ben poco del dossier giudiziario di Battisti». Perfino l’ex ministro Robert Badinter prende posizione in vostro favore ma poi ammette di ignorare gli elementi dei processi. Già questo è stupefacente, per un intellettuale: che si pronunci con tanta sicurezza su cose di cui è ignaro. Mi fa pensare a Aragon, quando approvò le dottrine sulla genetica di Lyssenko senza essersi informato su quel che fosse la «genetica autenticamente marxista e proletaria».

Molto brevemente, dunque, vorrei ricordarvi alcune cose. Che il terrorismo ha fatto in Italia, tra attentati e stragi, circa 349 morti e 750 feriti (cifre dell’Associazione vittime del terrorismo). Che il crimine si nascondeva dietro un presunto ideale, ma con gli ideali non aveva nulla a che vedere. Che non è la stessa cosa: l’estrema sinistra e il terrorismo di sinistra. Che negli Anni 70 non vi fu in Italia una guerra civile, né un’insurrezione antifascista. Dunque non vi sono neppure i vinti di questa presunta guerra, che oggi avrebbero riparato in Francia.

Dunque non ha senso ed è anzi pericoloso parlare di responsabilità collettive, perché negli Stati di diritto la responsabilità è sempre individuale. Erri De Luca ha scritto sui vostri giornali che Battisti appartiene a una «generazione di vinti», ma le cose non stanno così: Battisti appartiene a un gruppo di criminali che o son stati catturati, o sono latitanti e non hanno ancora espiato le condanne. Il gruppuscolo da lui fondato, in particolare, non aveva nulla d’ideale.

I Proletari armati per il comunismo organizzarono nel ’77-78 due omicidi: uno contro la guardia carceraria di Udine Andrea Santoro, uno contro l’agente di polizia Campagna (ammazzati da Battisti in persona). Poi su ordine di Battisti decisero di punire povera gente, commercianti, rei d’essersi difesi durante i cosiddetti «espropri proletari». Così furono uccisi il macellaio di Venezia Lino Sabbadin e il gioielliere di Milano Pierluigi Torregiani, con la partecipazione diretta o indiretta di Battisti. Nel corso della colluttazione, Adriano figlio di Torregiani fu colpito da una pallottola sfuggita al padre prima che questi cadesse, e da allora, paraplegico, è sulla sedia a rotelle. L’ho visto alla Rai il giorno in cui Battisti è stato scarcerato. Peccato non l’abbiate potuto vedere anche voi. Dopo tutto questo, Battisti fu condannato, in contumacia perché nell’81 era evaso dal carcere. Una regolarissima corte d’assise milanese lo ritenne colpevole di almeno due omicidi, sulla base non solo di confessioni di compagni ma di altre prove e testimonianze. La sentenza, confermata in appello e parzialmente riformata in Cassazione, fu l’ergastolo.

In genere si esce dal nazionalismo ricorrendo a un sentimento difficile ma semplice: la vergogna, il dubbio su se stessi. Chi ha scelto di riparare in Francia non sa cosa sia questo sentimento, ma anche voi sembrate ignorarlo. Eppure è strano, perché fu pur sempre Pascal, a parlare dell’Io odioso (le moi haïssable). Perché siete stati voi – Bernard-Henri Lévy e Bernard Kouchner, che vi siete indignati per l’arresto di Battisti – ad averci insegnato il metodo che consiste nel mettere in questione se stessi e le proprie certezze: è avvenuto con Zola durante l’affare Dreyfus, è avvenuto con voi quando uscì l’Arcipelago Gulag di Solzenicyn. Tanto più stupefacente è l’errore di giudizio che state secondo me commettendo sul caso Battisti.

Proprio perché vivo nel vostro paese, tuttavia, non mi basta fare l’elenco delle tante cose incongrue che avete detto sul terrorismo italiano e su chi realmente ne ha sofferto: la più terribile delle quali, a mio parere, è quella frase ricorrente che attribuisce, a Battisti, l’appellativo di «vittima degli anni di piombo». Vorrei capire come mai questa perentorietà, quest’ignoranza militante. Vorrei sapere il perché di una così totale indifferenza a chi il terrorismo ebbe a soffrirlo davvero, alle vittime autentiche degli anni di piombo che oggi non vi capiscono (vi giro la lettera che ho ricevuto da Maurizio Puddu, presidente dell’Associazione vittime del terrorismo, pubblicata oggi su questo giornale). Provo dunque a fare il vostro identikit, per meglio comprendere. Provo a capire come tante vostre virtù rischino di tramutarsi in vizi e in chiusure mentali.

In primo luogo: l’impegno per le libertà e la giustizia nel mondo. In passato e ancor oggi avete militato più volte e con generosità, per paesi lontani: avete redatto appelli per Solidarnosc in Polonia, per le vittime della pulizia etnica nei Balcani, per la Cecenia minacciata di sterminio. Siete stati i primi a capire che il comunismo era un totalitarismo sanguinario. Solzenicyn fu tappa cruciale nel vostro curriculum, nella metà degli Anni 70, quando in Italia lo si ignorava e lo si disprezzava. Ma questo vostro universalismo aveva e ha un’originalità non sempre condivisibile. Aveva gli occhi aperti su quel che accadeva lontano, ed era privo d’ogni curiosità per quello che succedeva nelle immediate vicinanze. L’Italia, la Germania, l’Inghilterra: sono paesi che non conoscete, che apparentemente non vi interessano. Tutti i paesi dell’Unione sembrano non interessarvi. Siete universalisti ma nazionalisti, quando si tratta dell’Europa con la quale state costruendo un’unione economica, politica, militare, e anche giudiziaria.

Un secondo aspetto importante è la vostra speciale collocazione nel Sessantotto europeo. Di quell’epoca avete conosciuto le glorie, ma non gli orrori. Siete stati troppo intelligenti per precipitare come gli italiani o i tedeschi nel terrorismo, avete avuto troppo senso della realtà per farvi tentare dalla violenza utopista. Alla lunga questo però non vi ha avvantaggiati, perché non avendo peccato, siete rimasti come impagliati nel Sessantotto, senza mai doverne provare vergogna. Il finto romanticismo rivoluzionario che non avete permesso a voi stessi, l’avete proiettato fuori di voi, in un’Italia esoticamente reinventata e in realtà disprezzata: l’avete proiettato in Battisti, o ai tempi di Sartre e Genet nella banda Baader-Meinhof. Essendo innocenti del terrorismo non siete nemmeno stati vaccinati dal male, ed è il motivo per cui Sollers parla di Battisti come di un «eroe rivoluzionario».

La terza virtù che diventa vizio è quella connessa al ruolo dell’intellettuale. Ottenuto riparo in Francia, Battista ha scritto dodici romanzi polizieschi. È diventato «uno dei nostri», «uno di Gallimard», sembrano dire i firmatari degli appelli dove persino si chiede, on line, di versare denaro per sostenerlo finanziariamente. Nella difesa delle corporazioni siete impareggiabili, ma spesso per l’appunto assai corporativi. Battisti è diventato, come usate dire, un intellò. Dunque per forza di cose un innocente, dunque un intoccabile.

La quarta virtù è quella rivoluzionaria, che però rischia di divenire un mito rigido: chiunque si dichiari rivoluzionario sembra essere benvenuto, in casa vostra. È il motivo per cui non aggrottate le ciglia quando Erri De Luca scrive su Le Monde frasi come questa: «La Francia ha avuto bisogno della rivoluzione per passare dalla monarchia alla repubblica. L’Italia ha avuto bisogno delle scosse rivoluzionarie degli Anni Settanta per acquisire una democrazia».

La verità è che l’Italia degli anni di piombo, voi la conoscete attraverso gli occhi di chi, riparato in Francia, vi ha venduto una sua storia falsa con la stessa tecnica con cui i magliari vendevano merce difettosa negli Anni Cinquanta. C’è invece molta buona letteratura su quegli anni, pubblicata in Italia. Vale la pena leggere alcuni di questi libri.

Vi prego non parlate più di rifugiati o fuorusciti, quando il più delle volte si tratta di latitanti. Sappiate che la vostra visione del nostro sistema giuridico è identica alle denunce quotidiane fatte da Silvio Berlusconi. Anche lui parla di tribunali speciali, e come tanti cosiddetti fuorusciti, denuncia i «teoremi giudiziari» e i giudici di parte. Immagino che vogliate aiutare l’Italia onesta. Sappiate che non la state aiutando. L’Italia che oggi contesta Berlusconi è impegnata in una battaglia per la difesa delle istituzioni, a cominciare dalla magistratura.

Un’ultima parola sulla dottrina di Mitterrand, che aveva preso la decisione politica di lasciar stare in Francia i terroristi italiani, purché rinunciassero alla lotta armata. Quella dottrina era già uno sbaglio, secondo me, perché partiva dall’idea che in Italia fossero impossibili giusti processi. Comunque non può avere valenza giuridica e assurgere a dogma, così come non ha valenza giuridica il pentimento che, secondo Lévy, Battisti esprimerebbe nei suoi libri.

Ci si pente o ci si dissocia nelle appropriate sedi legali (è possibile senza denunciare i compagni, in Italia) e non solo nell’intimo della coscienza. Altrimenti ha ragione Berlusconi, che crede di dover rispondere non già ai magistrati ma all’opinione, agli elettori, ai telespettatori. Certo, si può discutere d’amnistia. Ma l’amnistia per crimini terroristi di sangue non può esser decisa né da Mitterrand, né dagli intellettuali, né dagli imputati che oggi vorrebbero, come dice Oreste Scalzone, «avere il diritto di parlare d’altro». Il diritto di «parlar d’altro» può esser deciso solo in Italia, perché qui son stati commessi i delitti e qui son sepolti i morti per terrorismo.

Voi non avete dovuto affrontare la prova del terrorismo perché siete stati più bravi, più virtuosi. Forse anche perché siete stati più anticomunisti. Ma questa vostra superiorità vi ha resi ciechi, questo vostro anticomunismo vi ha apparentati a tanti brigatisti che nei comunisti italiani vedevano il diavolo, perché il Pci d’allora difese l’ordine, la legge. Non aveva detto anche questo Pascal: che chi vuol far l’angelo finisce col fare la bestia e istupidire?
Saluti fraterni,

LETTERA
Gent.ma Sig.ra Barbara Spinelli,
La rimessa in libertà di Cesare Battisti ad opera della magistratura francese rende perplessi noi e, posso assicurarle, gran parte dei cittadini italiani, quale che sia il loro orientamento politico. Per noi assassini e violenze non possono mai avere coperture.

Mi spiace dover rilevare a nome della nostra Associazione Italiana Vittime Terrorismo che diversi gruppi francesi (come leggo da talune dichiarazioni sui giornali transalpini) ritengono di dover tutelare i cosiddetti ex terroristi italiani quasi come fossero irredentisti, poiché ad essi è stata di fatto riconosciuta per gli «anni di piombo» la libertà di uccidere e, oggi, l’inebriante destino d’essere assurti a simbolo degli intellettuali perseguitati. Nel caso di Battisti l’assurdità ideologica dei suoi numerosi protettori si misura in modo esemplare, poiché la nostra magistratura ordinaria – non quella militare che in Italia non ha mai avuto giurisdizione se non nei confronti di militari – gli aveva offerto tutte le garanzie anche dopo che era fuggito (per essere stato messo in semilibertà forse anche per buona condotta, come si usa fare in Italia molte volte «ingenuamente»).

Nei processi dov’è stato condannato in contumacia, le testimonianze erano inoppugnabili. Una delle vittime ha ricordato alla tv italiana, con molta umiltà e senza acredine, la partecipazione di Battisti all’assalto all’oreficeria dove lavorava. In seguito a quel fatto l’uomo, allora giovanissimo, vive su una sedia a rotelle. Ebbene, il terrorista a Parigi ha dichiarato di non c’entrare nulla con quell’episodio, dimostrando così di essere forse cambiato, ma non fino al punto di riconoscere gli errori – gli orrori – del passato: preferisce continuare a negare come qualsiasi «normale» delinquente.

In Italia, i tribunali hanno giudicato gli atti di terrorismo senza ricorrere a «leggi speciali» e, almeno per i fatti di sangue e per gli omicidi, le sentenze definitive – almeno tre gradi di giudizio – non possono non essere riconosciute nella Ue. Se lo fossero, quali prospettive potrebbe mai avere una giustizia europea? Che senso avrebbe richiedere all’Italia il riconoscimento del mandato di cattura europeo, quando si è disposti a ignorare – peggio, a censurare – una condanna all’ergastolo per omicidio?

Quello della gauche è un atteggiamento offensivo, oltre che politicamente improvvido. E dimostra quanto molto ancora ci sia da fare per rendere «uguali» gli europei in ogni parte del territorio dell’Unione. Garanzie, diritti e anche doveri dovrebbero valere anche per le vittime che spesso altro non erano che cittadini spesso inermi, sempre incolpevoli, resi invalidi e uccisi da giovani privilegiati della società, talvolta per nascita e sempre per la formazione culturale ricevuta.

Per noi che i terroristi abbiano storpiato e assassinato per motivi ideologici, come pretendono, non è un’attenuante; semmai è un’aggravante. Sempre loro e i loro sodali troveranno mille e una parola per ingannare, mistificare il passato, continuare ad offendere la memoria dei morti. Come puntualmente avviene anche per recenti orrori, ricordo la Cecenia ma potrei citare nazifascismo e comunismo, sempre qualcosa giustifica le «buone cause».

Ai francesi, quelli della grande tradizione storica che tanto abbiamo amato, chiediamo il rispetto della nostra giustizia che, in questo caso, ha dalla sua la forza del diritto naturale al rispetto della vita umana, che non può essere confuso con nessuna ragione di Stato.

Maurizio Puddu
presidente dell’Associazione
italiana vittime del terrorismo.
Cittadino europeo

 

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