COMUNICATO

COMUNICATO

  • 19 Gennaio 2007

L’Associazione Italiana Vittime del Terrorismo rileva che è in corso un riaccredito dei terroristi che furono protagonisti dei cosiddetti ‘anni di piombo’. Esso avviene non solo attraverso la memorialistica editoriale e l’informazione televisiva, ma anche con la generosa ospitalità presso istituzioni pubbliche e statali di delinquenti già condannati a rilevanti pene detentive.
Anche se molti di questi non hanno scontato la pena alla quale erano stati condannati, pure non s’intende in alcun modo negare il loro diritto al reinserimento nella società. Più semplicemente si contesta che i colpevoli di efferati attacchi alle istituzioni, proprio in quelle istituzioni siano ora ospitati ed ascoltati.
È in corso il tentativo di riabilitare tematiche politiche e culturali a suo tempo sconfitte, ma da alcune forze politiche mai chiaramente sconfessate.
Alcuni di questi terroristi, ospiti in Rai e nelle università, sono tuttora attivi promotori di idee, concezioni di vita e visioni della società assai simili a quelle del passato e, come antichi cantori, celebrano le gesta loro e di altri efferati criminali caduti nel “conflitto”, come essi definiscono gli anni d’eversione.
Non solo: essi hanno contatti internazionali e organizzano gruppi di studio e workshop nei quali ripropongono forme di proselitismo e metodi d’indottrinamento simili a quelle degli Anni Settanta, solo adattati ai tempi ed alla situazione attuale.
Ad esempio, in un’intervista di RaiLibri, così racconta la nuova campagna di proselitismo Nicola Valentino già condannato all’ergastolo nel 1979 per fatti di terrorismo, e co-fondatore dell’editrice ‘Sensibili alle foglie’, diretta da Renato Curcio:

“Quando, durante i lavori seminariali illustravamo i dispositivi delle istituzioni totali e le risorse che le persone utilizzano per tenersi in vita, molti tra i partecipanti, pur non essendo reclusi, si rispecchiavano nelle esperienze proposte, sottolineando le forti analogie esistenti fra i dispositivi esposti e quelli da loro esperiti a scuola, sul posto di lavoro, in famiglia, in un ospedale.

Questo rispecchiamento reiterato ci ha indotti ad approntare una metodologia per esplorare i dispositivi relazionali totalizzanti disseminati nelle istituzioni dell’inclusione sociale ed il malessere della normalità che ne deriva. La metodologia consiste nel proporre agli attori di una specifica istituzione ordinaria (un’azienda, un ospedale, una scuola), una rete di storie emblematiche dell’istituzione totale, osservando successivamente le analogie e le differenze, le sovrapposizioni e gli scarti tra i dispositivi relazionali totalizzanti proposti e i dispositivi situazionali operanti nel contesto analizzato. Il rispecchiamento che noi proponiamo consente inoltre ai soggetti interni all’istituzione analizzata di osservare in modo diverso ciò che la routine quotidiana nasconde; frequentemente, infatti, i dispositivi mortificanti e deumanizzanti di un contesto istituzionale sono subiti o riprodotti dagli attori di quel contesto in modo automatico come fossero “naturali”. Un’altra precisazione metodologica importante riguarda il fatto che la ricerca non è condotta da chi, come noi, è esterno al contesto analizzato, il nostro apporto consiste nell’allestire, con attori interni all’istituzione, un laboratorio collettivo, sul modello del cantiere spontaneamente creato all’inizio della nostra ricerca in carcere.

A Milano, nella primavera del 2002, ha preso il via un cantiere, coordinato da Renato Curcio con la partecipazione di lavoratori di diverse aziende, sui dispositivi relazionali totalizzanti all’opera nelle grandi catene della distribuzione commerciale e sulle risposte di sopravvivenza a tali dispositivi. Nel 2003 questo stesso cantiere ha riaperto i lavori, ampliando la sua composizione, per affrontare il nodo del dominio aziendale attraverso la flessibilità, con i malesseri che esso genera. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati in due libri entrambi a cura di Renato Curcio, L’Azienda totale e Il dominio flessibile”.

In questa situazione non solo è comodo dimenticare le vittime del terrorismo, ma è necessario immiserire e cancellare il loro ricordo e il loro esempio.
Infatti l’Italia non ha istituito una giornata ufficiale di commemorazione, come invece ha fatto l’Unione Europea; non ha ancora garantito alle vittime i riconoscimenti e le previdenze che spettano loro in diritto delle leggi; non apre gli archivi che potrebbero permettere la definizione delle stragi ancora senza autori o con colpevoli dubbi.
L’associazione italiana vittime del terrorismo richiama l’attenzione delle forze politiche democratiche alle proprie responsabilità e alla realtà della situazione. Le invita a non ignorare i segnali che provengono dalla situazione che abbiamo sommariamente illustrato.

Maurizio Puddu
Presidente dell’Associazione italiana vittime del terrorismo

Torino, 19 gennaio 2007

 

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