Maurizio Puddu

IL PRESIDENTE MAURIZIO PUDDU

Una presentazione storica del Presidente dell’Associazione dalla sua fondazione al 2007

Nel periodo 1969-1980 l’Italia era percorsa da forti tensioni sociali e politiche che generavano manifestazioni, scioperi e scontri. A questi si aggiunsero trame eversive ed attentati. Di alcuni, gravissimi, quali le stragi di Milano dicembre 1969, piazza Fontana – 16 morti e 88 feriti – di Brescia maggio 1974, piazza Della Loggia – 8 morti e 103 feriti – e di Bologna agosto 1980, Stazione centrale – 85 morti e 200 feriti – nonostante processi e sentenze, mai sarebbe stata chiara e definita la matrice.
Anche la città di Torino viveva gli stessi travagli che erano particolarmente connotati dalla sua natura di città industriale e di laboratorio di movimenti culturali e sociali. Alle lotte operaie dei metalmeccanici, si aggiungevano i moti studenteschi e come per le altre grandi conurbazioni italiane ma assai più preoccupanti, l’eversione di nuclei estremisti.
Nel 1977 imperversavano le Brigate Rosse che, proprio in quell’anno, subivano a Torino il primo processo. Il nucleo storico era stato portato alla sbarra grazie all’opera di uomini coraggiosi quali il presidente dell’Ordine degli avvocati, Fulvio Croce, che era stato ucciso a marzo proprio per impedire il processo. Poi era toccato a un agente della polizia ed altre due vittime sarebbero state trucidate prima della fine dell’anno.

Altre cinque sarebbero state ferite a colpi di pistola in azioni terroristiche, mentre si contavano numerosissime aggressioni e attentati di varia natura.
Le forze politiche erano divise e confuse di fronte al fenomeno terroristico. Quelle di sinistra, in particolare, memori delle prime stragi ancora di matrice misteriosa, sospettavano che si trattasse di azioni architettate da servizi deviati dello stato, oppure da estremisti di destra che fintamente si richiamavano a teorie marxiste; gli altri partiti con varie sfumature parlavano di eversione antidemocratica di sinistra.

Maurizio Puddu, membro del Consiglio provinciale di Torino, era un esponente politico non di primo piano della Democrazia Cristiana, in quegli anni partito di maggioranza relativa in Italia. Era stato vice segretario regionale piemontese ed ex assessore all’Assistenza della Provincia. Riteneva di non essere particolarmente in vista e di non correre troppi rischi. Però si esprimeva duramente contro i terroristi in pubbliche assemblee, auspicando un cordone sanitario attorno ad ogni grumo di violenza: Giudicavo importantissimo, ebbe a spiegare in seguito sottrarre i giovani, giustamente impegnati nelle istanze di rinnovamento della società, all’inganno delle scorciatoie fatte di distruzioni e scelte nichilistiche, prodromi di ferimenti ed eccidi.

Dimostrava il civile coraggio della ragione, per gli estremisti era quindi un obiettivo esemplare e non protetto.
Il 13 luglio Puddu, obiettivo designato delle Brigate Rosse, al termine di una riunione di consiglio lasciò la sede della Provincia per rientrare a casa. Ecco come egli stesso descrisse poi gli avvenimenti: “Avevo appena parcheggiato la vettura vicino al portone d’ingresso e, chiudendo la portiera, vidi due sconosciuti a tre metri da me che armeggiavano in una borsa. Ritirai la chiave e, quasi contemporaneamente, vidi che nelle mani dei due erano apparse due pistole con i silenziatori. Improvvisamente mi resi conto di quanto stava per accadere, un attimo dopo sentii una fitta lancinante alla gamba sinistra. Rimasi paralizzato da terrore, mentre un dolore fortissimo mi pervadeva tutto. Pure mi scossi, rendendomi conto d’essere divenuto un bersaglio vivente. Trascinando faticosamente la gamba ferita tentai di fuggire tra le auto parcheggiate, mentre l’altro brigatista – una donna – sparava alcuni colpi per intimorire i soldati di una vicina caserma e le persone che si erano affacciate alle finestre. Una seconda pallottola mi raggiunse all’addome, inciampai e l’acuta sofferenza mi obbligò ad accasciarmi sul cofano di un’auto il sangue usciva copioso da un’arteria lacerata e le forze mi abbandonarono. Ero ormai debolissimo, scivolai a terra e vidi chino su di me uno dei killer che gelidamente alzava ancora la pistola. Implorai “per favore basta”, ma ancora mi raggiunsero altri colpi, poi svenni.

In totale furono sparati contro Maurizio Puddu 14 colpi di cui sette a segno all’addome, alla gamba sinistra e a quella destra. Il commando delle Brigate Rosse lo azzoppò per invalidarlo, affinché restasse esemplarmente segnato. Nel macabro rituale dei brigatisti doveva essere una punizione infamante, divenne invece un segno di forza d’animo e d’onore.
La vittima entrò in un tunnel di ricoveri e operazioni chirurgiche, cinque interventi in poco tempo, poi di un lungo periodo di convalescenza e recupero, ma anche di paure che potesse ripetersi l’attentato e di ansie per il futuro. Aiutato dalla totale dedizione della moglie e dei due figli, Puddu, anche alla luce delle reazioni politiche al suo ferimento non tutte pienamente solidali, ripensò profondamente il suo futuro. Approfittò del lungo calvario del recupero fisico e morale per riprendere gli studi e per laurearsi in scienze politiche, lasciò la politica militante e si dedicò alla libera professione e al volontariato, dando vita all’Associazione italiana per le vittime del terrorismo.

L’impegno dell’associazione è di impedire che sulle vittime degli “anni di piombo” scenda l’oblio dell’opinione pubblica e dello stato. Essi sono scomodi perché ricordano un periodo che la politica vorrebbe dimenticare, soprattutto oggi che risultano chiare le matrici ideologiche degli omicidi più orrendi (venti solo in Piemonte). Quali tutti gli assassini degli Anni ’70 e ’80 sono stati catturati. Alcuni di questi astuti delinquenti si sono sottratti alla giustizia rifugiandosi in Francia o nell’America del Sud. Molti hanno subito condanne all’ergastolo, alcuni a più ergastoli, ma alle soglie del 2000 tutti sono tornati liberi. Si sono rifatti una vita sulle rovine di quella precedente; hanno scritto libri, vanno in televisione a raccontare le loro imprese o, addirittura, in cattedra a tenere lezioni universitarie. Restano in custodia dello stato solo quei pochi brigatisti che, dal 1995 al 2002, tentarono di ricostituire le Brigate Rosse a Roma.

I governi hanno varato varie leggi a favore delle vittime. Dal 1980 ad oggi si contano almeno otto provvedimenti legislativi, ma sempre sono emersi margini di applicabilità o di difficoltà a dare piena attuazione alle leggi, anche perché esse si riferiscono spesso non solo alle vittime di fatti eversivi, ma anche di altri atti delinquenziali. Di fronte alle tante proteste, l’attuale governo ha nominato un Commissario straordinario per riordinare l’intera materia.
Altre emergenze oggi impegnano la società italiana. Come in tutta Europa, il terrorismo si è internazionalizzato e quello d’importazione ha sostituito l’eversione nazionale. Ricorda, però, Maurizio Puddu che: ” il germe dell’eversione alligna ancora tra le pieghe della società italiana. La regola della legalità non è stata ancora universalmente accettata e la violenza, come strumento di contrapposizione politica o pseudo politica è ancora troppo presente, soprattutto tra le componenti giovanili della società “.

 

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