Descrizione attentato:
Gli investigatori collegarono l’omicidio di Campagna a quello di Pierluigi Torregiani in quanto ritennero verosimile che i PAC avessero associato l’agente ucciso al caso, essendo questi stato ripreso dalle telecamere della televisione RAI 2 sulla scena dell’arresto di alcuni presunti responsabili del delitto Torregiani, poi rivelatisi estranei al fatto. Diverse altre rivendicazioni dell’attentato a Campagna giunsero ai giornali, ma una nuova rivendicazione dei PAC risultò la più attendibile perché essi fornirono particolari — noti solo agli inquirenti — sull’arma da fuoco usata; infatti, contrariamente a quanto diffuso inizialmente dai media, il calibro usato dal gruppo di fuoco non era il 38 special, ma il 357 Magnum.
In un’operazione del giugno successivo la polizia procedette all’arresto di circa quaranta persone sospette in varie parti d’Italia; a Milano furono rinvenute diverse armi tra cui una calibro 357 che fece supporre un collegamento sia tra i casi Torregiani e Campagna e il caso Santoro, maresciallo degli agenti di custodia ucciso a Udine. Durante un’udienza del processo Torregiani nel 1981, alcuni pentiti dichiararono di ritenere che un elemento del gruppo di fuoco che uccise Torregiani era comune a entrambi gli omicidi. Le affermazioni trovarono successivo riscontro nelle dichiarazioni di altri due pentiti, Pietro Mutti e Sante Fatone, che nel processo sulle attività terroristiche dei PAC a Milano confermarono le responsabilità di diversi imputati.
La sentenza giunse nel 1985 e fu di ergastolo per Claudio Lavazza, Paola Filippi, Luigi Bergamin, Gabriele Grimaldi e Cesare Battisti (quest’ultimo condannato in contumacia, in quanto benché arrestato nel corso della citata retata del giugno 1979 nell’appartamento dove fu rinvenuta la 357 Magnum e condannato a 13 anni per il concorso nell’omicidio Torregiani, partecipazione a banda armata e detenzione illegale di armi da fuoco fu liberato dalla detenzione nel carcere di Frosinone nell’ottobre 1981 da un gruppo armato, di cui faceva parte una donna, rivelatasi poi essere la fidanzata dello stesso Battisti, che aveva fatto irruzione nella struttura di sicurezza); trent’anni furono inflitti ad altri cinque imputati, mentre Mutti e Fatone ricevettero forti sconti di pena e furono condannati a rispettivamente nove anni e mezzo e nove anni di reclusione.