Il professor Peschiera è nella “Scuola di formazione superiore” a Genova, quando fa irruzione un gruppo di brigatisti rossi. I presenti vengono chiusi nella toilette, il professore è interrogato e fotografato con un cartello con la scritta “Servo dello stato imperialista delle multinazionali”. Peschiera avvia un sorta di dialogo con i suoi aggressori sulle loro finalità, ma questi, mentre si allontanano, si voltano e sparano 5 colpi alle gambe del professore.
Il Prof. Filippo Peschiera fotografato dai brigatisti
Il 2 marzo 2003, il sovrintendente Petri era impegnato, assieme a due colleghi, Bruno Fortunato e Giovanni Di Fronzo, nel servizio di “scorta viaggiatori” su un treno della tratta Roma-Firenze. Poco prima della stazione di Castiglion Fiorentino, Petri e i suoi colleghi – durante i controlli di routine – richiesero i documenti a un uomo e a una donna che viaggiavano sul convoglio, accorgendosi subito che erano falsi. Con reazione improvvisa e rapidissima, l’uomo estrasse una pistola e la puntò al collo di Petri, intimando ai suoi colleghi di gettare le armi. Uno dei due agenti obbedì, gettando la sua arma sotto i sedili del vagone. Nonostante ciò, l’uomo non esitò a sparare a Petri, che, colpito alla gola, morì sul colpo. Sparò anche all’altro agente ancora armato che, nonostante fosse stato colpito, rispose però al fuoco ferendo l’assalitore che morì alcune ore dopo in ospedale. La donna, dopo una colluttazione con l’altro agente, fu bloccata. Dalle prime indagini risultò che i due soggetti erano terroristi appartenenti alle “Brigate Rosse”. Dal materiale rinvenuto sul treno e nella borsa della donna gli investigatori riusciranno a ricostruire l’organico delle nuove “Brigate Rosse”, dei cui appartenenti -responsabili tra l’altro degli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi – gran parte sarà catturata nei mesi successivi e poi condannata all’esito dei processi celebrati.
Antonio Pedio è in servizio davanti alla agenzia numero 5 del Banco di Napoli, con il collega Sebastiano D’Alleo, quando alle 11 del mattino entrano due uomini e due donne. I quattro usano le 2 guardie giurate come ostaggi all’interno della banca. Compiono la rapina e al termine uno dei componenti il gruppo spara un colpo alla nuca dei 2 agenti pronunciando le seguenti parole: “Bastardi, è una lezione per gli schiavi del padrone”. Una terrorista tira fuori uno striscione rosso con la scritta BR e lo getta sui cadaveri, un altro getta sul pavimento alcune copie di un documento. Nel documento si denuncia il tradimento di Natalia Ligas che, arrestata, ha parlato facendo i nomi di decine di militanti.
Il 26 agosto 1982 un gruppo di quindici terroristi assalì due autocarri dell’Esercito per impossessarsi delle armi in essi trasportate. Gli agenti Antonio Bandiera e Mario De Marco, componenti di una “volante” della Questura di Salerno, intervennero. Gli assalitori aprirono il fuoco all’impazzata, uccidendo Bandiera e ferendo De Marco, che morì il successivo 29 agosto. Otto persone, tra civili e militari, vennero gravemente ferite e il giovane caporale dell’Esercito Antonio Palombo morì il 23 settembre in seguito alle ferite riportate nell’assalto. I processi accerteranno che gli omicidi erano stati compiuti da esponenti del gruppo terroristico “Brigate Rosse”.
Alle 7.30 del mattino, appena dopo essere uscito dalla sua abitazione per recarsi al lavoro, Giuseppe Pisciuneri, guardia giurata, fu assalito alle spalle da due uomini che gli sfilarono la pistola. Nella colluttazione che seguì fu colpito a morte da un proiettile esploso dall’arma appena sottrattagli. L’omicidio fu rivendicato dalle “Ronde Proletarie”.
Paolo Paoletti, dirigente responsabile della produzione presso l’azienda Icmesa, fu ucciso per strada a Monza. L’attentato venne rivendicato da “Prima Linea”, nel quadro di quella che fu definita la “campagna per la sanità”. La Icmesa era l’azienda ritenuta responsabile del disastro di Seveso (fuoriuscita di diossina a seguito di un incidente verificatosi negli impianti chimici della società elvetica). Dalle indagini emergerà che il fatto era riferibile a esponenti del gruppo che lo aveva rivendicato.
L’aggressione alla sorveglianza esterna del carcere
Mentre erano impegnate in un servizio di vigilanza nei pressi del carcere di Torino, le guardie di Pubblica Sicurezza Salvatore Lanza e Salvatore Porceddu vennero mortalmente ferite da colpi d’arma da fuoco, a seguito di un attentato compiuto da terroristi delle “Brigate Rosse” nell’ambito della “campagna contro il trattamento carcerario dei prigionieri politici” decisa dopo la istituzione, nel luglio 1977, del circuito penitenziario di massima sicurezza. Per il duplice omicidio sono stati condannati esponenti del gruppo terroristico.
E’ intitolato a lui ed al suo collega Salvatore Lanza il Centro Professionale di Strada delle Cacce. Una lapide è posta dal Comune sul luogo della tragedia.
Il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Frosinone, Dr. Fedele Calvosa, fu ucciso mentre, dalla sua casa di Patrica, si stava recando in ufficio a bordo della Fiat 128 di servizio condotta da Luciano Rossi, un autista civile del Ministero della Giustizia, che da poco aveva sostituito nel compito l’agente di custodia Giuseppe Pagliei, peraltro presente anch’egli sull’auto per affiancare il più giovane collega e dargli indicazioni. All’altezza di un incrocio, tre uomini armati di pistole e mitra si pararono dinanzi all’autovettura e aprirono il fuoco. Il primo a cadere fu l’agente Pagliei, poi cadde il dottor Calvosa. Luciano Rossi, ferito, tentò di fuggire, ma fu scorto da uno degli attentatori e finito con un colpo al volto. Dalle armi dei suoi compagni fu ferito anche uno degli attentatori. L’attentato fu rivendicato e addebitato dagli inquirenti alla organizzazione “Formazioni Comuniste Combattenti” che, in collegamento con “Prima Linea” e le ”Brigate Rosse”, stava conducendo una feroce campagna contro i rappresentanti delle forze dell’ordine e i magistrati.
Alle 8.40 dell’11 ottobre 1978 il prof. Alfredo Paolella – titolare della cattedra di Antropologia Criminale presso l’Università di Napoli – si recò presso l’autorimessa ove era custodita la sua macchina. Un gruppo composto da tre uomini e una donna lo affrontò, strattonandolo e scaraventandolo contro un pilastro. Fu ucciso con nove colpi d’arma da fuoco. Un ultimo proiettile fu sparato a bruciapelo alla tempia destra. Alla esecuzione assistettero impotenti i titolari dell’autorimessa e il garagista. Un’ora dopo l’attentato fu rivendicato da “Prima Linea” con una telefonata al quotidiano “Il Mattino”. L’attentato si collegava alla “campagna” che i terroristi stavano conducendo contro coloro che si dedicavano all’attuazione di un sistema penitenziario in linea con i principi fondamentali dello Stato democratico. Il prof. Paolella collaborava, infatti, con il Ministero della Giustizia e con il magistrato Girolamo Tartaglione che era stato ucciso appena un giorno prima di lui. Gli autori materiali dell’omicidio furono identificati e condannati.
Alfredo Paolella lascia la moglie Luisa, subito accorsa avendo udito da casa le detonazioni, e i figli Giovanni di 22 anni e Maria Rosaria di 19.
Il dott. Riccardo Palma stava salendo sulla propria auto quando fu colpito da una raffica di mitra. Fu colpito da diciassette colpi e morì immediatamente. I due attentatori fuggirono a bordo di una vettura condotta da un complice. L’attentato fu rivendicato dalle “Brigate Rosse” con un comunicato diffuso in varie città, nel quale si attaccava il dott. Palma nella sua veste di capo dell’Ufficio ministeriale che si occupava di edilizia penitenziaria, sostenendo che stava perseguendo una “progettazione scientifica della distruzione totale dei comunisti e dei proletari detenuti attraverso l’applicazione nelle carceri delle più moderne tecniche sperimentate dall’imperialismo internazionale”. L’omicidio fu eseguito da un “gruppo di fuoco” delle “Brigate Rosse” cui era affidato il compito di progettare e compiere attentati contro magistrati e forze dell’ordine. L’omicidio del dott. Palma si iscrisse nella stessa logica di quelli del Dott. Girolamo Tartaglione e del Dott. Girolamo Minervini. Tutti e tre i magistrati si occupavano del settore penitenziario o, più in generale, della gestione della pena. I processi accerteranno che l’omicidio del Dott. Riccardo Palma e quello del Dott. Girolamo Tartaglione erano accomunati anche dalla identità della struttura che li aveva eseguiti.