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Tag Vittima: M

Bartolomeo Mana

Bartolomeo Mana fu ucciso, durante una rapina ad un’agenzia della Cassa di Risparmio, da un gruppo di terroristi che, prima, lo sospinse all’interno della banca e, poi, lo uccise con un colpo alla testa. Non vi fu rivendicazione, sicché si pensò originariamente a una rapina della delinquenza comune. A seguito delle ammissioni di un esponente del gruppo eversivo di estrema sinistra “Prima Linea”, confermate nel successivo giudizio, si accertò che la rapina era stata consumata da un gruppo di terroristi per autofinanziarsi. Autori del fatto sono stati individuati e condannati.

Aldo Moro

La strage di Via Fani e il sequestro Aldo Moro
 

Tra le ore 09:00 e le 09:05 del 16 marzo 1978 una Fiat 128 bianca con targa diplomatica falsa e con a bordo brigatisti, era appostata in Via Mario Fani nel quartiere Trionfale. Quando la Fiat 130 dell’On. Moro, guidata dall’Appuntato dei CC. Domenico Ricci con a fianco il Maresciallo Oreste Leonardi e l’Alfetta della scorta, guidata dall’Agente Francesco Zizzi con a bordo gli Agenti Giulio Rivera e Raffaele Iozzino imboccarono Via Fani, la Fiat 128 bianca si mise davanti alle due auto frenando improvvisamente. L’auto dei terroristi venne tamponata da quella dell’On. Moro, a sua volta tamponata dall’Alfetta della scorta. Diversi terroristi, travestiti da avieri, divisi in due gruppi, aprirono il fuoco sulle due auto, uccidendo i cinque tutori dell’ordine e rapirono il presidente della Democrazia Cristiana. I brigatisti riuscirono a dileguarsi nel traffico. Alle 10.15, telefonate ad organi di stampa di Roma, Milano, Torino e Genova rivendicarono: “Questa mattina abbiamo rapito il Presidente della Democrazia Cristiana e eliminato la sua scorta, le ‘teste di cuoio’ di Cossiga” (l’allora Ministro dell’Interno). La strage e il sequestro furono compiuti emblematicamente nel giorno in cui il Parlamento era chiamato a dibattere e votare la fiducia a un Governo di solidarietà nazionale appoggiato, per la prima volta dal 1947, dal Partito Comunista Italiano, per la costituzione del quale il presidente della DC si era fortemente impegnato. Nel loro “comunicato n. 2” le BR sottolinearono che così facendo il PCI e i sindacati “collaborazionisti” assumevano “il compito di funzionare da apparato poliziesco antioperaio, da delatori, da spie del regime. La cattura di Aldo Moro, al quale tutto lo schieramento borghese riconosce il maggior merito del raggiungimento di questo obiettivo, non ha fatto altro che mettere in macroscopica evidenza questa realtà …”. Il corso del sequestro fu scandito dalla diffusione di comunicati delle BR talora accompagnati da drammatiche lettere e appelli del Presidente della DC, talaltra dalla richiesta delle BR di scarcerare “militanti detenuti” quale prezzo della liberazione del sequestrato, talaltra ancora della commissione di altri omicidi, come quelli degli appartenenti al Corpo degli Agenti di Custodia, maresciallo Francesco Di Cataldo e l’agente Lorenzo Cutugno. Con il “comunicato n. 9” le BR, dopo aver “registrato” “il chiaro rifiuto della DC, del governo e dei complici che lo sostengono” allo “scambio di prigionieri politici”, annunciarono: “Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato”. Alle 14.00 del 9 maggio, a 55 giorni dal sequestro, il corpo dell’on. Aldo Moro venne fatto rinvenire all’interno di una Renault 4 rossa, in via Michelangelo Caetani, una strada che si trova a breve distanza dalle sedi della DC e del PCI Sulla strage, il sequestro e l’omicidio si aprirono più processi. Al loro esito vennero individuati e condannati esponenti delle BR che in vario modo avevano partecipato alla organizzazione e compimento dei gravissimi delitti. Di tali delitti si occuperanno a lungo anche le Commissioni parlamentari di inchiesta per approfondire ogni tipo di condotta o di situazione tenuta o verificatasi con riferimento alla terribile vicenda. Il 18 marzo, dopo i funerali degli uomini della scorta, le B.R. telefonano al quotidiano “Il Messaggero” e indicano una cabina telefonica in cui viene rinvenuto il “Comunicato n.1” con la foto di Aldo Moro e sullo sfondo la Stella a 5 punte delle Brigate Rosse. Nel comunicato si legge: “La sua scorta armata, composta da cinque agenti dei famigerati Corpi Speciali, è stata completamente annientata.” A Torino, durante il processo a Renato Curcio e ai capi storici della B.R., viene rivendicata la responsabilità politica del rapimento.
Le sentenze sul sito di Radio Radicale.

Giorgina Masi

Il 12 maggio 1977, Giorgiana Masi – studentessa diciannovenne del Liceo “Pasteur” -fu uccisa a Roma durante una manifestazione organizzata nell’anniversario della vittoria referendaria sul divorzio. Temendo il ripetersi degli scontri con gruppi di “Autonomi” che il precedente 21 aprile 1977 avevano causato la morte della guardia Passamonti, le autorità di pubblica sicurezza avevano vietato la manifestazione e, per far rispettare il divieto, avevano disposto un nutrito servizio di ordine pubblico. Esso non servì a evitare nuovi e gravi scontri tra dimostranti e forze dell’ordine. Furono lanciati ordigni incendiari. Si sparò. Verso le 20.00 due ragazze e un carabiniere furono colpiti da arma da fuoco. Una delle ragazze era Giorgiana Masi che, colpita alla schiena, morì durante il trasporto in ospedale. L’inchiesta non consentirà di individuare l’autore dell’omicidio; esito sfavorevole avranno anche le ulteriori indagini successivamente compiute.

Gianni Mussi

L’imboscata di Pietrasanta
 

Nel corso di una operazione di polizia giudiziaria, conclusasi – dopo un violento conflitto a fuoco – con la cattura di due pregiudicati autori di gravissimi reati, alcuni appartenenti alla Polizia furono fatti segno a numerosi colpi d’arma da fuoco esplosi al loro indirizzo da uno dei criminali. Tre degli agenti rimasero uccisi, uno ferito. I processi si sono conclusi con condanne e hanno accertato che il fatto, rivendicato da “Lotta armata per il Comunismo”, era stato finalizzato al terrorismo e alla eversione.
Nello stesso scontro a fuoco muoiono anche i colleghi Armando Femiano e Giuseppe Lombardi, viene ferito gravemente il maresciallo Crisci.

Mantakas Mikaeli (Mikis)

La violenza intorno al processo sul rogo di Primavalle
 

Il 28 febbraio 1975 si celebrò a Roma il processo di primo grado a carico degli esponenti del gruppo di estrema sinistra “Potere operaio” accusati della morte di Virgilio e Stefano Mattei, uccisi il 16 aprile 1973 a seguito dell’incendio appiccato all’appartamento nel quale vivevano con il padre Mario, segretario della sezione del MSI del quartiere di Primavalle. Nel corso della manifestazione organizzata a favore degli accusati, si verificarono -nella zona compresa tra piazzale Clodio e Piazza Risorgimento -gravissimi scontri tra militanti di “Potere Operaio” e giovani di destra. Furono esplosi colpi d’arma da fuoco. Mikis Mantakas, uno studente greco di ventun anni -appartenente al movimento giovanile di destra “Fronte Universitario d’Azione Nazionale” (FUAN) -rimase ucciso dinanzi la sezione di quartiere del Movimento Sociale Italiano. A sparargli, con una pistola di grosso calibro, furono due giovani a bordo di una potente moto. Per il fatto saranno condannati, nel 1981, due estremisti di sinistra. Uno di essi, posto in libertà provvisoria dopo la sentenza di primo grado, si darà alla latitanza; l’altro, assolto in primo grado per insufficienza di prove, transiterà nelle “Brigate Rosse” partecipando, tra l’altro, al rapimento dell’on. Aldo Moro.
A distanza di poco più di dieci giorni, un altro giovane di destra, il diciottenne Sergio Ramelli – militante del “Fronte della Gioventù” – fu aggredito a Milano, a colpi di spranga e chiavi inglesi, da appartenenti ad “Avanguardia Operaia”. Morirà il 29 aprile per le ferite riportate che avevano imposto un purtroppo inutile intervento ricostruttivo del cranio. Gli autori del fatto furono individuati a distanza di circa dieci anni. Vennero condannati con sentenza definitiva nel 1990. L’episodio destò grande impressione, ma anche altre morti. Circa sei mesi dopo, si verificò quella di Mario Zicchieri, anch’egli militante del “Fronte della Gioventù”, e, in occasione del primo anniversario della morte di Sergio Ramelli, quella dell’avvocato Enrico Pedenovi.

Giuseppe Mazzola

L’attacco di Via Zabarella
 

Intorno alle 9.30 del 17 giugno 1974 un gruppo di persone armate si recò nella sede del Movimento Sociale Italiano di via Zabarella allo scopo di prelevarvi alcuni documenti. Due di esse, penetrate all’interno dei locali, vi trovarono
Graziano Giralucci, militante del MSI, e Giuseppe Mazzola, ex carabiniere in pensione che teneva la contabilità della sede. I due cercarono di reagire rifiutandosi di inginocchiarsi e farsi incatenare. Furono dapprima colpiti in varie parti del corpo e poi spietatamente uccisi con colpi di pistola alla testa. Il giorno successivo, l’azione fu rivendicata da una cellula delle “Brigate Rosse” con una telefonata alla sede di Padova del quotidiano “Il Gazzettino” e con volantini lasciati in cabine telefoniche di Milano e Padova. In questi, l’attacco veniva motivato con il fatto che nella sede di via Zabarella gli esponenti della destra eversiva “hanno imparato … il loro mestiere di assassini … hanno diretto le trame nere dalla strage di Piazza Fontana [del 12 dicembre 1969 a Milano] in poi. Il loro recente delitto è la strage di Brescia [risalente a circa venti giorni prima]”. Inizialmente, gli inquirenti batterono anche piste diverse da quella “rossa”; alcuni mezzi di informazione insinuarono che Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola si fossero “ammazzati tra loro” o fossero stati vittime di una faida interna alla destra. Gli autori materiali del fatto sono stati individuati e condannati. Altrettanto è accaduto -quali concorrenti morali -per alcuni degli esponenti di maggior spicco delle “Brigate Rosse” di allora. Le sentenze hanno ritenuto che l’attentato – il primo addebitabile alle “Brigate Rosse” come associazione terroristica strutturata (che appena due mesi prima aveva sequestrato il giudice Mario Sossi) – fosse stato organizzato e agevolato dal nucleo centrale operativo di quel gruppo terroristico e non fosse stato opera di singoli militanti della “colonna veneta”.
Giuseppe Mazzola lascia la moglie Giuditta e 4 figli.
La Giunta Comunale di Padova con deliberazione n.3427 del 12 novembre1992 ha deciso di onorare la memoria di Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola con la denominazione di due vie contigue nella zona di Altichiero.

Felice Maritano

Il maresciallo Felice Maritano faceva parte del nucleo speciale antiterrorismo dei Carabinieri costituito dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Aveva contribuito alla individuazione e all’arresto di alcuni tra gli esponenti di maggior spicco delle “Brigate Rosse”. Grazie alla documentazione rinvenuta in un covo di terroristi, il nucleo speciale aveva individuato una possibile altra base operativa della organizzazione. Nei pressi di questa, durante una rischiosa operazione ricognitiva notturna per la quale si era offerto volontario, il maresciallo Maritano riuscì a intercettarvi uno dei terroristi. Benché colpito dai colpi d’arma da fuoco esplosi da questi, persistette nella sua reazione, sino a ferire l’aggressore, consentendone l’arresto. Morì poco dopo.

Virgilio Mattei

Il rogo di Primavalle.
 

Nella notte del 16 aprile 1973 fu versato del liquido infiammabile sul pianerottolo antistante l’appartamento di Mario Mattei, segretario della sezione del Movimento Sociale Italiano di Primavalle. Divampò un incendio che distrusse rapidamente l’abitazione. Mentre gli altri familiari riuscirono a porsi in salvo, due dei figli del Mattei – Virgilio di 22 anni e Stefano di 10 – morirono carbonizzati. Le indagini si orientarono sull’extraparlamentarismo di sinistra e vennero indagati appartenenti a “Potere Operaio”. Furono posti in essere tentativi di depistaggio, volti ad accreditare l’ipotesi di una faida interna alla destra. Gli imputati furono dapprima assolti per insufficienza di prove. In seguito furono condannati, pur se per reati meno gravi di quello di strage originariamente contestato. La prima assoluzione consentì però agli imputati di fuggire all’estero e di ottenere, alla fine, che la pena loro inflitta fosse dichiarata prescritta. Per accertare le coperture e gli appoggi logistici di cui gli imputati poterono fruire furono aperti separati procedimenti. In occasione della celebrazione del processo di primo grado (28 febbraio 1975) si verificarono gravissimi scontri fra estremisti di destra e di sinistra, nel corso dei quali fu ucciso il giovane studente greco Mikis Mantakas
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Stefano Mattei

Il rogo di Primavalle.
 

Nella notte del 16 aprile 1973 fu versato del liquido infiammabile sul pianerottolo antistante l’appartamento di Mario Mattei, segretario della sezione del Movimento Sociale Italiano di Primavalle. Divampò un incendio che distrusse rapidamente l’abitazione. Mentre gli altri familiari riuscirono a porsi in salvo, due dei figli del Mattei – Virgilio di 22 anni e Stefano di 10 – morirono carbonizzati. Le indagini si orientarono sull’extraparlamentarismo di sinistra e vennero indagati appartenenti a “Potere Operaio”. Furono posti in essere tentativi di depistaggio, volti ad accreditare l’ipotesi di una faida interna alla destra. Gli imputati furono dapprima assolti per insufficienza di prove. In seguito furono condannati, pur se per reati meno gravi di quello di strage originariamente contestato. La prima assoluzione consentì però agli imputati di fuggire all’estero e di ottenere, alla fine, che la pena loro inflitta fosse dichiarata prescritta. Per accertare le coperture e gli appoggi logistici di cui gli imputati poterono fruire furono aperti separati procedimenti. In occasione della celebrazione del processo di primo grado (28 febbraio 1975) si verificarono gravissimi scontri fra estremisti di destra e di sinistra, nel corso dei quali fu ucciso il giovane studente greco Mikis Mantakas
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Federico Masarin

La strage alla Questura di Milano
 

Il 17 maggio 1973 si tenne -presso la Questura di Milano e alla presenza del Ministro dell’Interno, on. Mariano Rumor -la cerimonia commemorativa del primo anniversario della morte del commissario Luigi Calabresi. Verso le 11.00, al termine della cerimonia, un uomo scagliò una bomba a mano che uccise quattro persone e ne ferì circa cinquanta. L’attentatore fu immediatamente arrestato. Affermò di aver agito da solo perché mosso dalla propria scelta ideologica di “anarchico individualista”. Tempo dopo si accerterà che l’attentato era stato voluto e realizzato dal gruppo di estrema destra denominato “Ordine Nuovo”. Gli intenti erano quello di “punire” Mariano Rumor per avere promosso lo scioglimento della organizzazione in applicazione della “legge Scelba” (che vietava la riorganizzazione del disciolto partito fascista) e quello di “determinare – come effetto mediato – uno stato di caos e di tensione che avrebbe reso possibili una svolta autoritaria nel governo della Nazione e la emanazione di leggi di emergenza”. Alla condanna dell’attentatore colto in flagranza non seguiranno, all’esito dei numerosi processi, anche le condanne degli esponenti di “Ordine Nuovo” che l’accusa e alcune sentenze di merito avevano individuato come autori della strage. Nel 2005, la Corte di Cassazione dirà: “Deve ritenersi dato storico, oltre che processuale, ormai incontestabilmente accertato, la “provenienza” dell’attentato … da esponenti di Ordine Nuovo che avevano utilizzato chi fu arrestato in flagranza, legato a loro da vincoli antichi di vario tipo, al fine di mimetizzare la vera matrice dell’attentato e di accreditare la tesi della matrice anarchica che era insita nella strategia della tensione voluta da Ordine Nuovo”. La Corte di Cassazione aggiungerà peraltro che la posizione “eminente” ricoperta dagli accusati all’interno della organizzazione “Ordine Nuovo” non poteva costituire elemento di prova sufficiente per la condanna, ma solo un “indizio di partenza bisognoso di ulteriori riscontri, nella specie non emersi”. Secondo la Corte, le indagini non avevano chiarito, in particolare, il tipo di procedura che “Ordine Nuovo” adottava per le sue decisioni; non poteva quindi affermarsi che gli imputati avevano concretamente agevolato la realizzazione del gravissimo crimine.
All’attentato morirono:
Felicia Bartolozzi
Gabriella Bortolon
– Federico Masarin
Giuseppe Panzino