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Tag Vittima: M

Andrea Millevoi

Il 2 luglio 1993, a Mogadiscio, alle 5 del mattino partì un’operazione di rastrellamento denominata “Canguro 11” del contingente italiano inviato in Somalia nell’ambito dell’operazione umanitaria voluta dalle Nazioni Unite, missione ITALFOR Ibis, di stanza a Balad.

Militari italiani, coadiduvati da soldati somali, svolgevano un’attività di rallestramento alla ricerca casa per casa di depositi di armi appartenenti ai miliziani di Mohamed Farrah Aidid, un potente “Signore della guerra” che con altri guerriglieri locali contendeva il controllo della città. A operazione pressoché ultimata, la tensione cominciò a salire con gli abitanti del quartiere che iniziarono ad inveire contro gli italiani fatti bersaglio di sassaiole. Vennero erette barricate. Per riprendere il controllo del territorio il Gen. Loi ordinò azioni di fuoco a scopo intimidatorio. La colonna di mezzi, già in procinto di fare ritorno a Balad, venne bloccata e si ritrovò sotto un fuoco incrociato con i miliziani nascosti tra la folla: fu fatta affluire verso l’area del pastificio (ex pastificio della Barilla) per fornire sostegno alle truppe del Raggruppamento Alfa, dirette verso il porto vecchio. Raggiunta l’area degli scontri attraverso una strada parallela alla via Imperiale, alcuni VCC (veicolo trasporto truppe) furono circondati da centinaia di civili, i quali misero la zona a ferro e fuoco ed impedirono alla colonna di procedere. In quel frangente, i miliziani somali iniziarono dall’alto a sparare raffiche di kalashnikov sui militari. Tre i soldati italiani uccisi.

Nella battaglia del pastificio è stato anche gravemente ferito alla colonna vertebrale, perdendo l’uso delle gambe, il Sottotenente paracadutista Gianfranco Paglia che, per la sua azione in combattimento ha ricevuto la medaglia d’oro al Valor Militare e che, nonostante l’invalidità nel 1997 è tornato a prestare servizio nell’Esercito prendendo parte alla missione SFOR in Bosnia ed arrivando al grado di Tenente Colonnello.

Pietro Magri

Assassinati per un’opinione politica
 

Alle 3.40 del 1° dicembre 1978 una “volante” della Questura di Milano intervenne in via Adige, ove era stata segnalata una sparatoria. Sul posto si trovavano tre uomini, poi identificati in Domenico Bornazzini, Carlo Lombardi e Piero Magri. Erano stati feriti con colpi di arma da fuoco: due di essi erano riversi al suolo, l’altro all’interno di un veicolo. Nonostante i soccorsi, i tre morirono poco dopo presso il Policlinico. A seguito di indagini, degli omicidi furono imputati due appartenenti alla organizzazione “Prima Linea”. Durante il processo emerse che le tre vittime avevano espresso in un bar della zona di Porta Romana opinioni politiche radicalmente contrastanti con quelle degli imputati e che furono da questi ritenute offensive e intollerabili perché espresse in un “quartiere popolare”. Gli imputati furono condannati. La Corte di Assise di Appello di Milano stabilì che i fatti, pur se non “voluti” dall’organizzazione cui appartenevano gli imputati, erano comunque riconducibili alla militanza dei loro autori e non estranei al “clima” e alla “logica” della pratica eversiva.

Luciano Milani

L’appuntato Luciano Milani era impegnato nelle operazioni di ricerca di terroristi responsabili di una rapina ai danni di un istituto di credito, quando procedette, all’interno di una trattoria, alla identificazione di due avventori sospetti. Venne allora mortalmente raggiunto da colpi di arma da fuoco esplosigli contro da uno dei malviventi. L’omicidio è stato attribuito ad appartenenti alle “Brigate Rosse”.

Moretti Giancarlo

Nel cortile dell’università il professor Moretti si appresta a salire alla sessione d’esame quando due ragazzi giovanissimi, un ragazzo e una ragazza, descritti sui 16 anni, lo affrontano e la giovane gli spara 5 colpi. I due attentatori fuggono poi nella via confondendosi tra i passanti. Il professor Moretti ha due pallottole nella gamba destra, ma le sue condizioni non sono gravi.

Luigi Maronese

L’aggressione lungo il “canale scaricatore”
 
L’equipaggio di un automezzo del Nucleo Operativo e Radiomobile composto dall’appuntato Enea Codotto e dal carabiniere Luigi Maronese, sorprese alcune persone che stavano recuperando armi e munizioni precedentemente occultate nel “canale scaricatore” del quartiere Bassanello. Vistisi scoperti, i malviventi aprirono il fuoco contro l’equipaggio dei Carabinieri. Il Codotto, benché ferito, riuscì a colpire uno di essi cagionandogli gravi ferite. Poi, fatto segno di altri colpi da parte di complici, cadde privo di vita. Fu colpito mortalmente anche il carabiniere Luigi Maronese che aveva sostenuto l’azione del suo collega. Dalle indagini emerse che gli autori del fatto erano stati alcuni terroristi del gruppo di estrema destra denominato “Nuclei Armati Rivoluzionari” (NAR). Il comportamento dei due militari consentì sia la identificazione e l’arresto di numerosi componenti del gruppo eversivo e di fiancheggiatori appartenenti alla delinquenza comune sia il recupero di un notevole quantitativo di armi, munizioni, esplosivi e documenti. Il terrorista ferito risultò essere uno dei latitanti di spicco della formazione terroristica. Da tempo era ricercato come autore di gravi reati, quali gli omicidi del magistrato Mario Amato e degli agenti Maurizio Arnesano e Francesco Evangelista.
Enea Codotto e Luigi Maronese sono stati insigniti della Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria per il “mirabile esempio di eccelse virtù militari, fulgido ardimento ed assoluta dedizione al dovere” come si legge nella motivazione di Enea Codotto. “Luminoso esempio di attaccamento al dovere spinto all’estremo sacrificio” come si legge, invece, nella motivazione di Luigi Maronese.

Luigi Marangoni

Alle 8.20 del mattino, mentre si stava recando al lavoro, il Dott. Luigi Marangoni fu ucciso da quattro terroristi armati di mitragliette e di lupara, che lo crivellarono di colpi. I terroristi fuggirono dopo un conflitto a fuoco con un funzionario di Pubblica Sicurezza e il suo autista che, richiamati dagli spari, erano accorsi sul posto. Luigi Marangoni dirigeva l’Ospedale Maggiore di Milano ove le “Brigate Rosse” avevano numerosi proseliti. Sulla situazione dell’Ospedale aveva inviato diversi esposti alla magistratura e ricevuto, di conseguenza, molte minacce. L’omicidio fu rivendicato dalle “Brigate Rosse – Colonna Walter Alasia”. I processi accerteranno che il fatto era stato organizzato e compiuto da esponenti del gruppo terroristico che lo aveva rivendicato.
Marangoni muore lasciando la moglie Vanna Bertelè , la figlia Francesca di 17 anni e Matteo di 15 anni.

Girolamo Minervini

Il Dott. Girolamo Minervini fu ucciso mentre viaggiava sull’autobus che lo stava portando al Ministero della Giustizia ove dal giorno prima ricopriva l’incarico di direttore generale degli istituti di prevenzione e pena. L’assassino fuggì facendosi largo tra i passeggeri e continuando a sparare. L’omicidio fu rivendicato dalle “Brigate Rosse” e fu compiuto da un nucleo armato i cui componenti saranno successivamente identificati. Il Dott. Minervini aveva dedicato molta parte del suo impegno professionale alle attività connesse alla organizzazione degli istituti di pena e allo studio della normativa penitenziaria. Per questo motivo era divenuto “bersaglio eccellente” per le ‘’Brigate Rosse” che da tempo avevano individuato in chi si occupava della popolazione detenuta (e tra questa, anche dei propri “militanti” reclusi) il simbolo dello Stato autoritario e violento. Seguendo questa delirante logica avevano ucciso, nel 1978 e nel 1979, magistrati (i dottori Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione), e numerosi appartenenti al Corpo degli Agenti di custodia. Nella difficile situazione segnata dalla rivolta brigatista dell’Asinara (ottobre 1979), dalle proteste contro il decreto antiterrorismo (dicembre 1979) e dalle notizie su possibili nuovi scontri nelle carceri, Minervini era consapevole del pericolo che correva. Quando era stato proposto per l’incarico di direttore generale degli istituti di prevenzione e pena aveva detto ai familiari che “in guerra un generale non può rifiutare di andare in un posto dove si muore”, e aveva deciso di non essere sottoposto a tutela armata per non esporre a rischio la vita dei giovani agenti che sarebbero stati chiamati a scortarlo.
Lascia la moglie Orietta, il figlio Mauro e la figlia Ambra.

Manfredo Mazzanti

L’ingegnere Manfredo Mazzanti era direttore tecnico dello stabilimento “Falck Unione” quando, attorno alle 8.00 del 28 novembre 1980, fu ucciso nei pressi della sua abitazione. I due autori del fatto fuggirono prima a piedi e poi in bicicletta. Più tardi, l’omicidio fu rivendicato dalle “Brigate Rosse – Colonna Walter Alasia – Luca”. Le “Brigate Rosse” smentiranno di essere responsabili sia dell’omicidio del Mazzanti che di quello di Renato Briano, avvenuto circa 15 giorni prima e rivendicato allo stesso modo. La smentita dipenderà peraltro dal fatto che i due attentati erano stati direttamente “gestiti” dalla “colonna” milanese “Walter Alasia” che, in tal modo, si era rea autonoma dall’esecutivo delle BR, ponendone in discussione la strategia ed evidenziandone la crisi.

Angelo Mancia

Angelo Mancia, dipendente, con mansioni esecutive, del giornale “Secolo d’Italia” e segretario della sezione del Movimento Sociale Italiano del quartiere Talenti, fu ucciso nei pressi della sua abitazione da un commando di terroristi. Due giovani gli esplosero contro due colpi di pistola alla schiena e un colpo di grazia alla nuca. Il delitto fu rivendicato dai “Compagni organizzati in volante rossa”. Si ritenne trattarsi di una rappresaglia per l’omicidio di Valerio Verbano, il militante di Autonomia Operaia ucciso qualche giorno prima.

Antonio Mea

L’assalto di Piazza Nicosia
 

Il 3 maggio 1979, pochi giorni dopo l’inizio della campagna elettorale, le “Brigate Rosse” eseguirono un sanguinoso attentato nel pieno centro di Roma. Quindici uomini, armati di bombe e mitra, entrarono nella sede del comitato romano della Democrazia Cristiana in Piazza Nicosia e, dopo aver immobilizzato decine di presenti, asportarono varia documentazione e danneggiarono gravemente i locali facendo esplodere ordigni. Un equipaggio di polizia giunto sul posto fu colpito con raffiche di mitra. Un componente dell’equipaggio, il brigadiere Antonio Mea fu ucciso; la guardia Pietro Ollanu riportò ferite che ne cagionarono la morte due giorni dopo. Il terzo componente dell’equipaggio fu ferito. L’azione rientrò fra quelle organizzate contro la DC, tra le quali va ricompreso anche l’omicidio dell’avv. Italo Schettini, del 29 marzo 1979.
L’agente Vincenzo Annunziata rimane ferito.